3 -CHI ERANO I LIGURI

                                          CHI ERANO I LIGURI ?

Quasi certamente, i primi (i protoliguri) che abitarono i "territori dei Liguri", furono gli uomini primitivi del sud'Europa, in particolare, quelli presenti nei territori del Ponente Ligure in modo stanziale, appartenenti alla Specie HOMO di “Neanderthal”,  discendenti dagli Homo Erectus giunti dall'Africa, poi evolutisi per centinaia di migliaia di anni in Europa.     

Ma i veri Liguri, furono i discendenti degli Homo Sapiens provenienti dall'Africa e dei Neanderthal europei, dall'integrazione delle due "Specie" derivarono i SAPIENS SAPIENS, cioè i "Cro-Magnon", che in questo territorio e in quelli vicini, per ragioni contingenti si stabilirono, quando i Greci, nelle loro spedizioni esplorative del mediterraneo, giunsero in contatto con le popolazioni che abitavano i territori del sud Europa, le descrissero e le definirono Popolazioni "Liguri",  il cui significato è almeno duplice, genti dalla voce stridula, e genti che abitano territori vicino alle acque.

                                     Sulla scomparsa dei Neanderthal esistono diverse ipotesi, tra le altre,  esiste anche la seguente:  Quando i Sapiens, dall'Africa arrivarono sul Continente europeo, lo trovarono già abitato dai Neanderthal, con essi convissero per molti millenni, poi improvvisamente 26000 anni fa circa (24000 a.C.), il clima cambiò repentinamente, modificando l'ambiente, nel frattempo, i Sapiens si erano "uniti" ai Neanderthal formando una variante alle due Specie, e cioè formando i Cro-Magnon (Liguri).   In questa nuova fase, questi ultimi meglio adattati al novo ambiente, al nuovo clima e più proliferi, soppiantarono sia i Sapiens di origine africana che i Neanderthal di origine europea,  quindi, fu solamente la selezione naturale a decretare la scomparsa dei Neanderthal, e diremmo anche dei "Sapiens africani"che si erano allora stabiliti in Europa.

                                           CRO-MAGNON-LIGURE

Com'è ben visibile nella mappa sottostante, tra i 40/25.000 anni fa nel "rifugio", del sud-ovest dell'Europa, esisteva una sola Popolazione, questa, era derivata dagli Homo Sapiens arrivati dall'Africa attraverso lo Stretto di Gibilterra, questa popolazione, si dividerà in due rami, il primo sarà formato dagli Iberi, una parte dei quali, in seguito, migrerà nuovamente in Africa, e una parte diventerà stanziale nel territorio ovest della Spagna.  Il secondo ramo, si espanderà in particolare verso nord e si evolverà nei Cro-Magnon (Liguri).  Come è ben visibile, al di sopra della linea tracciata nella mappa, non sono presenti alberi, ma solo tundra e ghiacci, perciò, in quel periodo e in quei territori, la vita umana risultava essere pressochè impossibile.

CONFERMATA DALLA GENETICA LA TESI del "LIGURE"

ERECTUS--> (NEANDERTHAL E SAPIENS)--> (CRO-MAGNON-LIGURI)-->("KURGAN"-CELTI-LIGURI)-->EUROPEI


APLOGRUPPI


In genetica, o più precisamente nel campo dell'evoluzione molecolare, si definisce aplogruppo (dal greco: απλούς, haploûs, "onefold, unico, semplice") un insieme di aplotipi tra loro differenti, tutti però originati dallo stesso aplotipo ancestrale.            

In genetica umana, i più studiati sono l'aplogruppo del cromosoma Y (Y-DNA) e l'aplogruppo del DNA mitocondriale (mtDNA), che possono essere utilizzati per definire le popolazioni genetiche. Y-DNA ha il vantaggio di essere trasmesso solo attraverso l'eredità paterna (da padre a figlio), mentre il DNA mitocondriale viene trasmesso solo attraverso quella materna (dalla madre ai figli di ambo i sessi). Quindi Y-DNA e mtDNA possono cambiare solo tramite mutazione e non per ricombinazione di materiale genetico tra genitori. A tal proposito gli aplogruppi della regione non ricombinante del cromosoma Y (NRY) e quelli del DNA mitocondriale (mtDNA) sono particolarmente significativi negli studi filogenetici, tassonomici ed evoluzionistici.

Da Y si sarebbero poi generati aplogruppi specifici nel percorso delle migrazioni:
Y ,     il cosiddetto "'Adamo ancestrale'"

IJ     : IJ corrisponde probabilmente a una ondata migratoria dal Nord Africa a
         partire da 45.000 anni fa, che si è poi diffusa in Europa con l'uomo di Cro-Magnon.

I       (M170, M258, P19, P38, P212, U179): diffuso maggiormente e quasi esclusivamente in Europa,
        disceso da tribù proto europee. L'aplogruppo I rappresenta circa un quinto dei cromosomi Y
        europei. È quasi esclusivo dell'Europa pertanto si ritiene che si sia originato in quest'area durante
        l'ultima glaciazione. È probabile che sia stato confinato nel rifugio sud europeo (Spagna-Francia-Italia) durante la glaciazione e che poi si sia ridiffuso verso nord con il ritiro dei ghiacciai. Nonostante sia relativamente frequente negli Scandinavi, nei Sardi e nelle popolazioni balcaniche, questi popoli presentano subcladi differenti dell'aplogruppo I. Questo suggerisce che ognuna delle popolazioni ancestrali è oggi dominata da un particolare subclade che ha marcato una indipendente espansione della popolazione lungo diversi percorsi migratori durante e immediatamente dopo la glaciazione.

I1    (L64, L75, L80, L81, L118, L121/S62, L123, L124/S64, L125/S65, L157.1, L186, L187, M253,
        M307.2/P203.2, M450/S109, P30, P40, S63, S66, S107, S108, S110, S111): ramo
        europeo settentrionale/nordico con le più alte frequenze in Scandinavia, Islanda, e Europa
        nord-orientale. Nelle Isole britanniche la mutazione I1-M253 è spesso usata come marcatore delle
        invasioni vichinghe o anglosassoni.
I2    (L68, M438/P215/S31) ramo europeo meridionale/balcanico
        I2b  raggiunge discrete frequenze lungo le coste nord-occidentali dell'Europa continentale e in
        Sardegna. Dalla linea I2b è derivato I2b1a (M284) in Europa nord-occidentale ed Isole Britanniche.

R      : disceso da tribù eurasiatiche. Tutti gli aplotipi afferenti all'aplogruppo R condividono le mutazioni
         M207 (UTY2), M306 (S1), S4, S8, S9 e possono essere suddivisi in tre principali linee evolutive:
         R1a, R1b e R2.
R1    (M173)
R1a  (L62, L63): è prevalente nelle popolazioni slave dell'Europa orientale e nella regione del Pamir
         fra l'Asia centrale e meridionale. La R1a potrebbe essersi originata nelle steppe euroasiatiche a nord               del Mar Caspio e del Mar Nero. È associato alla cultura kurgan, nota per la domesticazione del
         cavallo (circa 5000 anni fa). Questa linea è attualmente presente in Asia centrale e occidentale, India,
         e nelle popolazioni slave dell'Europa orientale.
R1b  (M343): è prevalente nell'Europa atlantica, dove rappresenta l'aplogruppo più diffuso e nel Camerun
         settentrionale. La linea R1b è la più comune nelle popolazioni europee. Nell'Irlanda occidentale
         raggiunge una frequenza prossima al 100%.
Si è originata prima della fine dell'ultima glaciazione e si è
         concentrata nei rifugi del sud-Europa per poi riespandersi verso nord con il progressivo mitigarsi del
clima a partire da 10.000 anni fa. Presente anche nel Vicino Oriente, Caucaso e Asia Centrale.

- Aplotipi europei legati alla linea paterna Y-DNA
Lo studio degli aplotipi ovvero della combinazione delle varianti alleliche lungo un cromosoma o lungo un segmento cromosomico contenente loci strettamente associati tra di loro, e che in genere, vengono ereditati insieme, ha permesso di identificare due aplotipi europei definiti Eu18 e Eu19 i quali hanno permesso, tramite metodiche di comparazione delle sequenze, di identificare tracce di migrazioni di popolazioni Europee risalenti all'epoca paleolitica, si ritiene che le migrazioni delle popolazioni europee siano dovute a fenomeni ambientali, quali glaciazioni, competizione fra popolazioni e ricerca di cibo, essendo gli aplotipi ereditati insieme, sono stati identificati due nuclei isolati di popolazioni, rispettivamente:
- Eu18 i nuclei nella penisola Iberica e
- Eu19 i nuclei in Ucraina.

Questi aplotipi costituiscono il 50% dei cromosomi Y europei. L'aplotipo Eu19 è diffuso anche nel Pakistan settentrionale e nell'Asia centrale a supporto dell'ipotesi che queste due popolazioni siano migrate sia verso il centro Europa che verso l'Asia.

L'Eu 19  potrebbe essersi originata nelle steppe euroasiatiche a nord del Mar Caspio e del Mar Nero. È associato alla cultura kurgan, nota per la domesticazione del cavallo
             (circa 5000 anni fa).

- Aplotipi italiani legati alla linea paterna Y-DNA
Distribuzione percentuale degli aplotipi del cromosoma Y italiani:
Regione:                 I1    I2a     I2b     R1a    R1b    G2a      J2        J1    E1b1b  T + (L)   Q
Italia settentrionale 6%  2.5%  2.5%  3.5%  55%    2.5%  11.5%  0.5%  11%     4.5%    0%
Italia centrale          3%   2%     5%    3.5%  43%    8.5%  19.5%   2%    10%     3.5%    0%
Italia meridionale  2.5% 2.5% 2.5%   2.5%  29%    8.5%   23.5%   5%    18%     5.5%    0%
Sicilia                      3%   1%    1%     4.5%  30%    5.5%   26.5%   4%   17.5%    6%     1%
Sardegna               0%   37%   0%      0%    22%   15%    10%     2.5%  10%     1.5%    2%

Notare che l’aplotipo R1b ha la maggior percentuale in tutte le regioni italiane
"L'Aplogruppo R1b (Y-DNA), viene ritenuto essere la più antica linea genetica europea,"


I1        : ramo europeo settentrionale/nordico con le più alte frequenze in Scandinavia, Islanda, e Europa
  nord-orientale. Nelle Isole britanniche la mutazione I1-M253
             è spesso usata come marcatore delle invasioni vichinghe o
             anglosassoni.
I2a      : è la forma più comune nei Balcani e in Sardegna (dove
             rappresenta l'aplogruppo più cospicuo nella variante I2a1 
I2b      : raggiunge discrete frequenze lungo le coste nord-occidentali
             dell'Europa continentale e in Sardegna.

             Dalla linea I2b è derivato I2b1a (M284) in Europa nord-occidentale ed Isole Britanniche.
R1a     : è prevalente nelle popolazioni slave dell'Europa orientale e nella regione del Pamir, fra l'Asia  centrale e meridionale.
       
          
 Questa linea è attualmente presente in Asia centrale e occidentale, India, e nelle popolazioni slave dell'Europa orientale.
            
R1b     : è prevalente nell'Europa atlantica, dove rappresenta l'aplogruppo più diffuso e nel Camerun
             settentrionale. La linea R1b è la più comune nelle popolazioni europee. Nell'Irlanda occidentale
             raggiunge una frequenza prossima al 100%. Si è originata prima della fine dell'ultima glaciazione e si
             è concentrata nei rifugi del sud-Europa per poi riespandersi verso nord con il progressivo mitigarsi

             del clima a partire da 10.000 anni fa. Presente anche nel Vicino Oriente, Caucaso e Asia Centrale.
             L'Aplogruppo R1b (Y-DNA), viene ritenuto essere la più antica linea genetica europea,
             associata ad un effetto del fondatore verificatosi nell'Europa centro occidentale. Le popolazioni
             stanziatesi in Italia dal Mesolitico sono caratterizzate da alte frequenze di R1 (xR1a1), condizione
             che si ritrova ad oggi nelle popolazioni basche,
ritenute le più somiglianti geneticamente ai primi
             europei, durante il Neolitico i migranti introducono le varianti E3B1 e J2, il 27% delle variazioni
             genetiche totali, basate sull'analisi dei polimorfismi indicano un chiaro gradiente di distribuzione
             della  popolazione italiana sull'asse nord-sud della penisola.

Tuttavia nuovi studi suggeriscono che in epoca Neolitica fu l'influenza delle popolazioni provenienti dall'Anatolia la causa principale delle differenze nel bacino genetico italiano, assegnando ai greci un ruolo di secondaria importanza; attualmente si assume che durante il Neolitico si consolidò l'aplotipo principale R1(xR1a1)

 G         : Le maggiori frequenze si riscontrano nel Caucaso. Presente anche tra i Mediorientali e nell'Europa
             meridionale. L'aplogruppo G, originatosi in Medio-Oriente, o forse più a Est in Pakistan, intorno a                   30.000 anni fa, secondo alcuni studi potrebbe essersi diffuso in Europa nel Neolitico, oppure, vista
             la sua forte discontinuità, aver raggiunto l'Europa già nel Paleolitico. La maggiore frequenza di
             questo cromosoma si ha oggi nel Caucaso, in Ossezia del nord (60%) e nella Georgia (30%), un'alta
             frequenza si ha poi in Sardegna (15%), Iran, Pakistan, India (21%), nel Tirolo austriaco (15%),
             nell'isola di Creta (11%), fra gli ebrei (10%), nella Germania alpina, in Boemia e Ungheria (7%).
           
            È inoltre presente nell'8-10% dei maschi spagnoli, sardi, tirolesi, corsi,
            italiani peninsulari, greci, e turchi. L'aplogruppo G ha due sub-aplogruppi principali: G1 (comune in
            Iran) e G2 (più diffuso nell'Europa occidentale).
J2       : ramo mediorientale settentrionale/anatolico. La diffusione dell'aplotipo J2 nel bacino del Mediterraneo
            viene spesso associata all'espansione dei popoli agricoli durante il periodo Neolitico. La comparsa
            di J2 è stimata a circa 10.000 anni fa con scarto di 3.500 anni.  Taluni studiosi lo inseriscono fra
            gli aplogruppi dell'Asia occidentale e sud-orientale, associandolo alla presenza di reperti archeologici
            del neolitico, come statuette e ceramiche dipinte è stata avanzata l'ipotesi che il subclade J2a-M410
            appartenga ai primi agricoltori. Tuttavia altri studiosi ipotizzano un possibile evento di dispersione nel
            post-neolitico, in particolare legato alla dominazione della Grecia antica. In Europa, la frequenza di
            aplogruppo J2 scende drammaticamente muovendosi verso nord dal Mediterraneo.
            In Italia, J2 si presenta con frequenze regionali che variano tra il 9% e il 36%.

- Cronologia del popolamento da parte materna (mtDNA) in Italia
Similarmente al cromosoma Y, il DNA mitocondriale (mtDNA) contenuto nei mitocondri, viene ereditato da parte materna, consente quindi di risalire alla via patrilineare femminile, l'aplogruppo mitocondriale U5b3 ha permesso di identificare un effetto del fondatore verificatosi circa 10.000 anni fa in Italia (inizialmente nella Liguria di Ponente e costa Azzurra), si ritiene che le femmine portatrici siano successivamente migrate in Provenza, probabilmente fra i 9.000 e 7.000 anni fa, dove si sviluppò la variante U5b3a1. Fenomeni di migrazione successivi avrebbero poi permesso l'introduzione dell'aplotipo U5b3a1 dalla Provenza alla Sardegna, presumibilmente seguendo i commerci di ossidiana, ad oggi circa il 4% della popolazione femminile in Sardegna appartiene a questo aplotipo.

- Aplotipi legati all'mtDNA in Europa
L'aplogruppo più comune in Europa e in Italia risulta essere l'aplogruppo H originatosi probabilmente circa 20.000 anni fa in Europa meridionale e nel Vicino Oriente, sempre in Europa circa 15.000 anni fa in Spagna si differenzia l'aplogruppo V. l'aplogruppo I circa 30.000 anni fa probabilmente in Europa.

- Mappa Genetica dell'Europa
Recentemente diversi ricercatori hanno contribuito allo sviluppo di una mappa genetica dell'Europa, questa mappa mostra un evidente grado di somiglianza strutturale alla mappa geografica. Le principali differenze genetiche si sono riscontrate fra le popolazioni del nord e del sud.
I ricercatori ipotizzano tre principali eventi di colonizzazione a partire da sud, avvenuti circa 45.000 anni fa, i primi esseri umani moderni entrerebbero in Europa da sud, dopo questo ingresso si verificò un'interruzione dei flussi migratori dovuto ad un massimo glaciale, circa 20.000 anni fa, la seconda colonizzazione avvenuta al ritiro dei ghiacci risalirebbe a circa 10.000 anni fa a partire da popolazioni di ritorno dalle zone di rifugio a sud, l'ultima colonizzazione si ebbe intorno ai 10.000 anni fa con l'espansione, dal Vicino Oriente, dell'agricoltura.
Sono state individuate due barriere genetiche all'interno dell'Europa.
   - La prima divide i finlandesi dal resto degli europei, si ritiene che questa barriera sia dovuta al fatto che i
      finlandesi siano derivati da un piccolo e recente nucleo che conteneva individui molto simili geneticamente;
   - la seconda barriera si colloca fra le popolazione italiana e il resto dell'Europa, e si ritiene che sia dovuta
   all'effetto delle Alpi che avrebbero separato geneticamente l'Italia dal resto d'Europa.

DEDUZIONI

In sequenza si può stabilire che, dall'Africa l'Homo Sapiens è migrato in Europa circa 50/40000 anni fà, si è evoluto nel sud Europa nel Cro- Magnon poi chiamato Ligure, alla fine della Glaciazione è migrato nell'Europa dell'Est, (Russia Ukraiana ecc.) per ritornare sucessivamente, prima nel centro e poi nel Sud Europa come "Celto", originando in seguito tutti i popoli europei. In particolare, si denota un'evoluzione territoriale specifica alla fine della glaciazione, centralizzata e concentrata particolarmente nei territori, italiano della Liguria di Ponente, e del Sud della Francia nella Provenza. Risulta quindi chiaro, che che in sequenza, i Sapiens, i Cro-Magnon, i Liguri, i Celti, sono i progenitori degli EUROPEI


 

IL popolo delle renne SAAMI come gli YAKUTI,  (integrati parzialmente con popolazioni asiatiche) sono quasi certamente, in parte, di antica origine "Cro-Magnon - LIGURI", sono i discendenti di quelle Tribù, che circa 9000 anni fa iniziarono a migrare dal Sud della FRANCIA, verso il Centro e Nord EUROPA in seguito alla fine della GLACIAZIONE di WURM, al disgelo e all'allagamento delle pianure, (seguendo le mandrie di animali legati al ciclo del freddo, come le renne, bisonti, mammut, ecc., dai quali erano totalmente dipendenti). 

             SCIAMANO SAAMI                                                  VECCHIO PESCATORE LIGURE

 

 

 

 

IMMAGINI DEI TERRITORI DEI CRO-MAGNON-LIGURI

QUAL'ERA IL TERRITORIO DEI LIGURI PRIMA DELLA NASCITA DI CRISTO?

IL TERRITORIO DEI "LIGURI" ANDAVA DALLA SPAGNA ORIENTALE, AL CENTRO-SUD DELLA FRANCIA, A TUTTA L'ITALIA, E IN ALTRI TERRITORI, IL NOME DEI LIGURI, NON DERIVAVA DAL NOME DELL'ATTUALE REGIONE ITALIANA, MA DAL NOME DATO DAI GRECI A POPOLAZIONI CHE ABTAVANO I TERRITORI DEL SUD EUROPA, AVENTI MEDESIME CARATTERISTICHE FISICHE E ABITUDINI DI VITA, CHE ABITAVANO IN PROSSIMITA DELLE ACQUE, SIA DI MARE CHE DI TERRA, VICINO AI FIUMI O IN PROSSIMITA' DELLE PALUDI.

  Di seguito, nel riquadro sucessivo,   un Riassunto

  incentrato in modo specifico sui Liguri dal libro "De primi abitatori dell'Italia" edito nel 1769, nel quale si evidenziano molti aspetti sull'importanza, sulla primazia, sull'evoluzione del popolo Ligure in Italia e in Europa.  Per ovvi motivi, la descrizione  non tiene conto: "dell'Origine delle Specie" di Darwin del 1859 "e sue implicazioni "; dell'evoluzione umana (Erectus -- Neanderthal/Sapiens) e Cro-Magnon, quet'ultimo, evoluzione degli ultimi due, e dei Liguri evoluzione dei Cro-Magnon, padri di quasi tutti gli antichi popoli europei, in modo particolare dei Celti.                                        



 

TITOLO DELL’OPERA

 

DE’ PRIMI ABITATORI DELL’ITALIA

OPERA POSTUMA DEL PADRE

STANISLAO BARDETTI

 

PRIMA PARTE

 

STAMPATO IN MODENA NELL’ANNO MDCCLXIX

NELLA STAMPERIA DEL DOTTOR GIOVANNI MONTANARI

 

ANGELUS MELCHIORI

VICE- PRAEPOSITUS PROVINCIALIS

IN PROVINCIA VENETA

ANNO 1769

(Riassunto)


L’autore alla Repubblica letteraria dice che questa notizia l’ha fedelmente presa da una cronaca di Ravenna scritta in ebreo da Tubal figlio di Jafet, e fondatore di quella città; la quale cronaca si era gelosamente tenuta nascosta fino a quel tempo a causa delle lettere ritenute sacre o profane, andata poi perduta come tante altre.

In quel codice si raccontava che l’Italia, lasciando da parte le cose antidiluviane, cominciò a ricevere abitatori l’anno 225 dopo il diluvio di Noè.

Che i primi veri abitatori furono Giano, lo stesso Tubal, Cambise, Espero, Vesione, Ligone, e Cireno, sette ne più ne meno.

Questi signori vennero per mare (è risaputo che questo non può essere possibile in quanto a quella data nessuno era in grado di navigare per mare) con le loro famiglie, le quali tutte insieme formavano una flotta di circa settecento persone, e si stabilirono ciascuno con i suoi in uno dei seguenti luoghi; cioè: Espero in Sicilia e in Calabria; Cireno nel tratto che è fra la Calabria e il Tevere; Giano fra il Tevere e l’Arno; Vesione fra il monte Vesolo e il fine orientale della Cispadana e il Tronto; Cambise fra il Tronto e la Calabria; e che gli stessi signori dal nome dell’Avo Noè chiamarono tutto il paese Noetria. (quanto sopra è solo un adattamento alla versione religiosa, del “religioso”, una  fase postuma e sucessiva al Diluvio Universale)

In questi scritti si parla delle origini, e delle più remote antichità di quasi tutti i popoli della terra: i punti capitali che ci interessano sono i seguenti.

I° Che l’Italia cominciò a popolarsi l’anno 108 dopo il Diluvio di Noè da uomini d’oltre mare ( come già sopra riportato ciò non è possibile come si vedrà anche in seguito nel racconto) approdati e stabilitisi sulla riva destra del Tevere, dove a quei tempi cominciava l’Etruria; che i loro capi furono Giano e Vesta, marito e moglie; che da Giano furono detti Gianigeni; e che questo celebratissimo Giano, chiamato poi anche Vertunno, Vadimone, Vaticano, Entro, Ogige e Caos, era nientaltro che Noè in carne e ossa.

Che essendo Noè tornato in Armenia, non solamente spedì in Italia con grandi navi nell’anno 141 Comero Gallo figlio di Jafet e padre di quei vecchi Galli, da cui nacquero gli Umbri, ma con lui spedì anche Crano e Crana, gli ultimi dei suoi propri figli, i quali essendosi uniti coi Gianigeni e coi Galli Nell’Etruria, ed essendo divenuti padri di una numerosa tribù, furono chiamati Razeni, che in linguia Aramea significa “sagri propagatori”, e il nome di Razeni lasciarono come preziosa eredità a tutti gli Etruschi.

Che nell’anno 243 venne dall’Egitto lo sciagurato Cam o Camese, e prese posto sulla sinistra del Tevere nel tratto detto di Camesene; che colonie di costui si chiamarono Aborigene, e che avendo egli di  molti vizi infettato il paese di Noè, che di ritorno dall’Asia lo  costrinse a lasciarlo nell’anno 271, nel quale passò in Sicilia dove sino a quei giorni non si era mai visto uomo.

IV° Che nell’anno 301 arrivò Sabazio Saga detto anche Saturno Caspio, nato da Cur figlio di Cam, regnò fra gli Aborigeni, fu padre di Sabio, e dei Sabini, ed è lo stesso che dai Sabini e dagli Etruschi era chiamato Sangni, dai latini Sanetus e Fidius.

V° Che nell’anno 422 venne Ausone figlio d’Arameo, che era figlio di Ligure, che fu padre di Veneto, che si stabilì Ausone nell’Italia orientale, e Fetonte nell’occidentale, nelle due regioni dove Noè aveva in precedenza spedite numerose colonie.

VI° Finalmente, circa nell’anno 500 dopo il Diluvio, regnò Sicano figlio di Tageta Razeno, nella più antica Sicania nei presi del Tevere, dove nel 680 venne Kittyn altrimenti chiamato Atlante e Italo da cui, prima il Lazio poi tutto il paese fu detto Italia

Non piace all’autore che Giano, il quale anche per lui è Noè, venisse per primo in Italia, che Arezia o Vesta moglie del patriarca entrasse nel Tevere, che madre di tutte le prime colonie fosse l’Etruria, che i primi Aborigeni discendessero da Cam. (giustamente non gli piace perché ciò non può essere vero).

Senza opporre nulla a queste chimere, incomincia anch’egli a chimerizzare, fa venire prima Comero di Giano; fa entrare Vesta per il fiume Pescara in grazia dei Vestini suoi favoriti, dalle terre Vestine fa uscire ben presto colonie che si spargono per l’Italia, per quanto agli Umbri li fa non altro che Aborigeni calati dai monti e stabilitisi nelle pianure.

L’Autore promettendo di voler parlare dei “Primi Abitatori dell’Italia”, nell’opera poi parla dei molti, che non furono neppure secondi.

Tali furono gli Arcadi di Evandro, dei quali ha scritto un’intero capitolo, “comenchè” non venissero in Italia, come si ha in Dionisio (6), se non 60 anni circa prima della guerra di Troia, un tempo troppo vicino a noi che non a quello dei NostriPrimi.

La seconda, dove pur Riccio dentro i suoi limiti si contiene, e dei “Primi” realmente parla, dagli antichi scrittori non prende se non cose triviali o non bene intese, di alcuni loro passi meno volgari e in materia molto importanti non fa menzione, “avvengachè”, siano in Cluverio più volte da lui citato e qualche volta troppo acerbamente ripreso, e infine lascia il suo soggetto, a parte forse, dove fra i “Primi” annovera i Liguri nel modo stesso come lo aveva ricevuto, cioè tanto confuso, oscuro mancante imbarazzato, che nessuno sa dove possa con qualche sicurezza fermare il piede.

Di alcune di queste cose dovrò espressamente di luogo in luogo cercare prove chiare, come per esempio, dove parlerò degli Ausoni che egli fa venire dalla Scozia, le altre si potranno agevolmente chiarire per chi vorrà, confrontando punti con punti, e cioè, quello che Riccio ha detto delle “Prime” nostre genti da lui nominate, con ciò che delle medesime andrò man mano dicendo.

*1) Dice che gli Aborigeni, i quali erano discesi dai Liguri, Primi Abitatori d’Italia vicini alle Alpi, dice che secondo molti antichi, i Siculi e gli Aborigeni erano di origine Gallica e Ligustica, ma che se egli rigetti come meno probabili tali testimonianze rispetto ai Siculi, come ha fatto poco prima rispetto agli Aborigeni, l’avrà forse riservato per un’altra opera.

Dice finalmente, che è improbabile che si arrivi giammai a scoprirlo a fondo.

La ragione di questo è che sebbene le “Prime Genti” che occuparono l’Italia dalle Alpi fino all’ultima estremità opposta, furono genti rozze indisciplinate selvatiche (opinione personale errata)tanto che possiamo fingere verosimilmente anche noi, che la quercia al “legnatore” dicesse, come si ha nell’Antologia:

longe projice a querce securim: avi enim dixertunt Nobis, quemandmodum primae matres sunt querqus”; da quelle genti nondimeno, quali che fossero, parecchie cose è necessario che si credano derivate dalle lingue, dalla religione, dagli usi, e d’istituti di quei Trasmarini  “eziandio”, che si trovano poi stabiliti in Italia, e per cui secondo il comune grido, essa cominciò a farsi colta e a ingentilire per arti e lettere, e per costumi.

La quinta è quella di certi Lidii, i quali in Italia furono poi detti Tirreni, Etruschi e anche Toschi.

Questi li avrei anteposti a Saturno e a Giano almeno, se Dionisio nel libro non avesse provato, che la loro venuta con Tirreno figlio di Atti è una favola: ometterei anche questo, se mi attenessi a Percolo, per cui vennero circa nel tempo della morte di Pirro figlio di Achille.

Ma avendone fatta Virgilio una nazione fiorentissima al tempo di Enea e di Turno, “anzi” nominando Lidii in Italia Galliano e Solino, fino dai tempi di Marsia, che si dice fondata da Archippe nelle terre dei Marsi, e che aveva nella Lidia regnato immediatamente prima di Giardane padre di Omfale conosciuta da Ercole, ho creduto, senza però pretendere di decidere nulla, che si possano per ora ammettere i Lidii anche in Etruria prima che Ercole nascesse.

La sesta è per provare il preteso “antico uso”.

Ho detto, quand’anche non avessero eccezione, e non l’ho detto a caso.

I Galli (=Celti) cacciarono gli Etruschi, ma ai Liguri, che insieme con gli Etruschi abitavano intorno al Po’ non diedero noia, anzi, a loro si unirono, come in seguito si renderà per maggiori prove manifestatissimo.

Scelta così la Cronologia, che nel proseguio del cammino deve essere la nostra guida, ecco l’anno in cui inizia l’epoca del Diluvio di Deucalione, è il 2540 dopo la creazione del mondo; e l’884 dopo il Diluvio di Noè; il 671 dopo la confusione della prima lingua; il 4 prima dell’uscita degli Ebrei dall’Egitto; il 330 prima della rovina di Troia; il 761 prima della fondazione di Roma per Romolo; è il 1514 prima dell’era volgare Cristiana. (è accertato un Diluvio nel 3574 a.C.)

Di tutte queste date, è per me provata la verità tosto che si trovano in Musanzio: credo pero di dover giustificare la mia guida in quella di, 330 anni fra il Diluvio di Deucalione e l’eccidio di Troia, la quale è la più importante data per noi. (che dopo 300 anni dal Diluvio,Troia esistesse già ? forse questa data è da rivedere!)

Nel ragionare sulla venuta degli Etruschi nelle terre vicino al Pò, e che dai Galli (Celti) ne furono scacciati, e volendo la storia istruirci sulla loro origine, si dice bensì che secondo alcuni erano genti venuti dal paese dell’Etruria, ma aggiunse poi, che secondo altri furono gli stessi di quei Pelasgi  che erano fuggiti dall’Emonia, poi Tessaglia, dopo il Diluvio di Deucalione.

In questo luogo, attribuisce Diodoro all'inondazione delle acque, ciò che Dionigi ha attribuito all’inondazione dai nemici; e ciò forse è avvenuto perché i due disastri  furono l’un l’altro poco distanti e l’uno finì ciò che l’altro aveva cominciato.

Comunque sia, l’espressione di Diodoro suppone come un fatto notorio, che dopo detto Diluvio i Pelasgi fossero passati in Italia, e questa supposizione è per se stessa una gran prova.

La ritirata dalla Tessaglia, la brevissima dimora in Epiro, e il passaggio del Golfo avranno comportato più mesi, ma per maggiore speditezza si può trascurare questa minuzia e dire, che 330 anni prima della caduta di Troia i Pelasgi vennero in Italia.

I nostri Popoli, dunque, anteriori all’arrivo dei Pelasgi, furono propriamente i “veri Primi Abitatori d’Italia: aggiungo di più, che da questa verità ne spuntano successivamente altre due, per le quali nel nostro argomento si comincia a vedere chiaro, anzi si sgombrano e svaniscono i due principali e si può dire universalissimi inganni, che sono stati io credo la cagione vera del cattivo stato dei nostri “Priminegli scritti di tanti autori.

Le due verità sono queste;  e chi legge e ama ben conoscere la nostra più antica storia, la imprima e la stampi profondamente nell’animo.

Che non essendo stati i “Primi Abitatori dell’Italia” genti anteriori alla venuta dei Pelasgi non vennero dunque per mare immediatamente.

II° Che non essendo i “Primi Abitatori dell’Italiad’oltre mare immediatamente venuti, chi di essi dunque va in cerca non nelle terre vicine al Tevere o in altre parti, ma bensì, nel paese Circumpadano deve per prima cercare.

Aborrivano gli uomini il mare, e con gran fatica si potè accostarveli, come si è detto, dovunque prima abitassero, al monte o in pianura, vedevano spesso come furiosi venti non dirò abbattevano le loro capanne e tuguri, ma schiantati alberi robustissimi nonostante che radici forti e profonde li trattenessero al terreno.

Il frutto di un lungo studio e dell’esperienza di molti secoli mancavano di questi principi a chi per mare volesse viaggiare, troppo ragionevole doveva parere stranissimo che si fosse trovata anima tanto ardita per non dire folle della quale dovesse dirsi che affidarsi a quattro tavole unite insieme, ma da tutto il resto staccate, tanto più che quell’anima temeraria non poteva da sola eseguire l’impresa ma bisognava trovare i compagni i quali fossero tutti animosi di volersi esporre all’evidentissimo rischio, e fossero tanto sciocchi dal primo all’ultimo che nessuno pensasse di imbarcare “la torma” senza sapere in  quale direzione andare, e di quanta vettovaglia si abbia bisogno, senza sapere se mai avrebbero toccato terra, o se pur toccandola buona la trovassero, o malvagia, o deserta, o abitata, o abitata da gente bestiale o umana, senza sapere infine se andassero a migliorare la fortuna o a peggiorarla, a perdersi o a dover dopo molte e immense fatiche buttate via finalmente ritornare indietro e le rampogne ingoiarsi e i rimproveri di quanti li avevano sconsigliati.

La prima navigazione di cui sia restata memoria dopo il Diluvio di Noè, si riduce tutta a due punti di nessun valore per noi.

Il primo, che i nostri Fenici s’incamminarono radendo la spiaggia non sappiamo verso dove, o al più tentarono di traghettarsi verso qualche vicina isoletta, non potendosi pensar ad altro di uno “stuolo” non di “vascelli di forze differenti”, ma composto in gran parte di zattere.

Il secondo, che essendosi ingrossato il mare dalla parte di settentrione, la misera flotta fu spinta verso mezzodì all’estremità della Fenicia, vuol dire non più di due passi lontano, e qui fu costretta a ricoverarsi sotto il monte Cassio, il quale secondo Strabone separa la Fenicia dall’Egitto. E fa promontorio.

La prima cosa importante è, che i Greci abbiano navigato prima del Diluvio di Deucalione, non se ne ha notizia alcuna che sia fondata, avvertendo che per navigare intendo quì e dappertutto, non con semplici zattere o atrettanti informi imbarcazioni da radere qualche tratto di spiaggia, passare uno stretto, lasciarsi portare da qualche fiume o cosa simile; ma andare al largo e in paesi per grandi golfi e ampie acque separati e discosti trasportare uomini e merci.

La seconda, che quand’anche prima del Diluvio di Deucalione i Greci abbiano navigato, sicuramente non navigarono in Italia.

Nella prima parte dell’Ercole Tiro, che da Sanconiatone chiamasi Melicarto figlio di Demaroonte, si sa fiorire al tempo di Sydyc che lo vogliono navigasse: e per questo insegnando a tutta l’antichità, che i Fenici estesero il loro commercio all’estremità occidentale dell’Europa, e dicendo Timostene che un Ercole vi fondò la città di Calpe detta anticamente Eraclea, e sapendosi dall’”Itinerario” d’Antonino che quella città fu anche detta Carteja, a malapena si può dubitare che non la fondasse Melicarto, nel cui nome quel di Carteja si vede troppo chiaro.

E si conferma quell’antichissima navigazione coll’autorità di Timagene presso Ammin Marcellino, dove abbiamo i più antichi abitatori della Gallia secondo alcuni essere stati Doriefi “antiquorem jequutos Herculem”, e aver occupate le terre galliche vicine al mare; atteso che Melicarto su appunto un’Ercole, a cui se a altro mai contiene l’aggiunto “antiquior”, che qui pare messo per “antichissimus”; fu un Ercole che aveva Doriefi nella sua Fenicia per città di Dor più volte nominata nel libro di Giosuè; e fu un Ercole in fine, che avventuratosi in mare potè molto naturalmente prima d’inoltrarsi allo Stretto approdare nella Gallia e lasciarvi una parte dei suoi,

o quando nello Stretto ebbe fondata Carteja, per curiosità o per vaghezza di nuovi stabilimenti, potè proseguire verso settentrione e in qualche spiaggia gallica in quella parte fondare una colonia.

Rispondo, che nessun antico si ricorda la navigazione dell’Ercole Tirio, volerle nel vocabolo Carteja, c’entra nel nome proprio di lui Melicarto è una debolezza.

Carteja in fenicio significa “Citta”; e Melicarto o Melec-Cartha è propriamente “Rex urbis”: delle città, di Carteje ne fondarono non poche in Spagna i Fenici, niente di più facile che alla prima di esse o ad altra poi distrutta si sia dato come proprio il nome generico, e per questo non arrecò disagio al signor Melec-Cartha per andare con le sue mani regali a posare la prima pietra.

 

 

(Quanto sopra, è senz’altro un’adattamento dello scrittore alle conoscenze specifiche religiose sulle origini del Genere Umano, e all’evoluzione di Questo nel territorio Europeo; bisogna riconoscere comunque che un fondo di verità esiste, dal quale sono state tratte e adattate alcune antiche memorie relative ad avvenimenti realmente accaduti). 

 

Primi Circumpadani, e però veri Primi Abitatori dell’Italia furono i Liguri, gli Umbri, e i Taurisci. Da questi tre popoli nacquero tutti gli altri più antichi di questa parte.

 

Intorno al Po’ i veri “Primi Abitatori”, e in questo territorio trovandosi parecchi popoli di incertissima antichità, può sembrare difficile decidere a quali propriamente competa il glorioso titolo di “Primi”, cioè di anteriori  alla venuta di Enotro e dei Pelasgi, e al Diluvio di Deucalione.

Ma se non si vuole intorbidire l’acqua chiara, come suol dirsi, e mettere la difficoltà dove essa non c’è, sono quasi certe queste due cose, che il Primato di cui si tratta è dovuto ai Liguri, agli Umbri, e ai Taurisci, e che da queste tre genti nacquero tutte le altre più antiche Circumpadane.

Si vede che il capitolo si divide in tre parti ciascuna suddivisa in altre due.

Cominciamo dalla prima delle tre.

1) Che i Liguri siano stati i “Primi” in Italia, come dice anche Rickio nella lodata “Dissertazione”, e “Primi” intorno al Po’, com’è da dire per maggiore precisione, non c’è bisogno di molte parole per essere dimostrato.

Sappiamo, che fra i personaggi chiamati Cigno, uno fu figlio di Steselo, Ligure per nascita, e fu Re dei Liguri per condizione; diversissimo però da tutti gli altri che portarono lo stesso nome, quali sono Cigno figlio di Ocito e di Aerofita, che andò a Troia con dodici navi Argive; Cigno figlio di Nettunno, e ucciso da Achille, e simili; sappiamo inoltre che il nostro Cigno Ligure visse al tempo di Fetonte, e fu anche di questo giovine troppo tenero amatore: sappiamo infine che Fetonte fiorì al tempo di Deucalione.

Se uniamo insieme queste notizie, abbiamo senz’altro che al tempo di Deucalione  vi erano già Liguri intorno al Po’, e che nel paese furono però Primi”.

Maggior difficoltà è individuare quali dei più antichi popoli Circompadani si propagassero dai Liguri, ma col favore di Dio li faremo conoscere a tutti, lasciando però da parte i Friniati, gli Apuani, i Briniati, gli Statielli, gl’Ingauni, gl’Intemelii, i Vedianzii, e simili, dei quali, datochè abitarono sempre la Liguria propria, nessuno spero vorrà per sospettare, che non fosero veri Liguri.

3) Al settentrione dunque della Liguria propria più occidentale vi erano i Coziani, ovvero qualunque fosse il primo loro vero nome, gli abitanti di quella parte delle Alpi, che da alcuni antichi fu detta Terra d’Ideonno e di Cozio, ma che dopo la descrizione dell’arco di Susa dataci  nel “Marmora Taurinensia”, e anche più correttamente nel “Musaeum Veronese”, che si vuole unire ad un testo di Ammian Marcellino, si dirà forse meglio Prefettura di Re Cozio figlio del Re Donno; noi diremmo secondo la moderna Geografia dei Territori di Susa ecc.

Questa era gente Gallica o Ligustica o d’altra generazione? Per testimonianza di Strabone tutto quel tratto era dei Liguri.    (quindi i Coziani erano Liguri)

 All’oriente dei Coziani anche prima che venissero i Galli contro gli Etruschi Circumpadani, erano i Taurini o come furono chiamati Taurisci; e sono in effetti sinonime le due voci, come ha fra gli altri insegnato Cluverio.

La loro capitale Taurasia, Augusta dei Taurini, oggi Torino, fu detta da Appiano città Celtica; e potrebbe dubitare qualcuno, che gli abitanti fossero stati Celti, o si voglia dire Galli: ma toglie ogni dubbio la gravissima autorità di Strabone, e di Plinio, dicendo espressamente il primo, che i (4) Taurini furono gente Ligustica, il secondo, che furono dell’antica schiatta dei Liguri.

Né è loro contrario Appiano, che siccome dal contesto si può vedere, non ha mai pensato a istruirci dell’origine dei Taurini, che che ne dica Cellario nel libro “Antica Geografia”, ma ha solo voluto accennare la situazione della loro città,  com’egli dice alla Greca, nella Celtica Cisalpina.

5) Sotto i Taurini erano i Levi e i Marici, che unisco insieme, perché si unirono insieme per fondare l’illustre città di Ticino; e Plinio racconta, similmente li unisce per quanto spetta all’origine, e insegna, che furono Liguri.

Dei Levi non occorre qui aggiungere altro, se non che del loro essere stati gente Ligustica, e di più antica ci aveva prima assicurati Livio; e che Polibio li aveva chiamati Lai.

Ma dei Marici bisogna dare una più ampia “contezza”, sentendovi gran fondamento per credere, che questo fortunato popolo nel senso più rigoroso il “Primo”, che nel paese Circumpadano mise piede, e per conseguenza il “Primo “ fra tutti quelli, che si chiamano, e rigorosamente furono “Itali Primi”.

I “Primi Itali” furono nel “Paese Circumpadano”, come si è dimostrato: vi fu dunque anche Mares, che di tutti gli Itali fu il più antico.

Primi” nel paese Circumpadano furono i Liguri, come similmente è dimostrato: Ligure sarebbe dunque facilissimamente anche Mares, che fu il più antico di tutti i Circumpadani.

Fra i Liguri del paese Circumpadano si trova un popolo di vetustà immemorabile detto Marici: o grandemente m’inganno, o non è necessario il più piccolo sforzo per credere, che con quel popolo una relazione avesse Mares, il più vetusto di tutti i Circumpadani; che di tal popolo Mares fosse il padre, o condottiero in quelle terre; che a Mares debitori furono i Marici d’essere stati la prima gente che venisse a abitare “Il Bel Paese Ch’Appennin parte, il mar circonda,e l’Alpe”.

Dovunque pescasse il benemerito Predestino, dimostra di aver esaminato per distinguere nel suo racconto la parte storica dalla favola.

6) Perciò avendo trovato tre cose si affermavano di Mares, cioè che fu il più antico uomo d’Italia; che fu metà uomo e metà cavallo, come poi i Centauri, e che nei centoventitre anni che visse, tre volte era morto, e altrettante tornato in vita, saggiamente l’ultima di queste tre cose dissente dicendo, “ciò a me non pare credibile”; alla seconda da questa congrua spiegazione, “fu per mio avviso il primo che montasse a cavallo, e che tal bestia frenasse, per questo lo credettero biforme”;

 la prima ammette senza difficoltà, e vedremo in più luoghi progredendo, che doveva ammetterla.

Giorgio Merlano, comunemente chiamato Merula, dice che i nostri Marici fondatori di Ticino, anche dalla parte dov’è Alessandria abitavano, vedendosi quindi le vestigia del castello dei Marici detto poi Marengo: e Bernardo Sacco, che nella storia di Ticino scrive dei Marici un’intero capitolo, afferma, che vicino al Tanaro a quattro miglia dal Po’, si vedeva tuttavia un castello detto Pietra dei Marici.

Di ciò si vuole tenere gran conto, essendo già da molti osservato, che i moderni nomi geografici più cose c’insegnano intorno all’antichità, delle quali d'altronde non si ha più notizie.

E come le pianure non furono quasi mai le prime a essere abitate nei primi tempi, così per quello che si è detto impariamo che il proprio e stabile “tener Dè Marici” dovette essere al principio nelle vicinanze di Aquis, in quelle che sono al Mezzodì dell’Alessandrino, e del Tortonese, e in altre più orientali verso il Tidone, e la Trebbia nel Piacentino; e che di là essendo poi la loro gente a poco a poco discesa, ed essendosi anche impadronita di alcune terre al di là del Po’, si unì con i Levi, e diedero insieme l’avvio alla costruzione di Ticino.

Osservo, che gli Anani, gente Gallica venuta coi Boj dopo Belloveso e Elittovio, e che secondo Polibio fu la prima a prendere posto al di qua del Po’, e lo prese nelle terre bagnate dalla Trebbia, che erano le ultime occupate dagli Etruschi, contro cui i Galli si scontrarono; dico che questi Anani sono anche appellati Alamari in un difficile passo dello stesso Polibio, che spiegherò nel modo migliore: se non m’inganno, Alamari è un nome composto dai due nomi accorciati di Anani e Marici: e questa composizione mostra sempre meglio, che da quelle parti ci furono i Marici.

Ma di questo, e di qualche cosa di più nel seguente articolo.

Presso i Marici erano al di qua del Po’ i Veliati, di là i Salii, o vogliamo dire i Salluvii.

I Veliati sono divenuti un popolo celebre per l’insigne Tavola Piacentina dei Fanciulli Alimentarii trovata l’anno 1747, dalla quale si vede che ai tempi di Trajano questo popolo era ancora Signore di forse diciotto di quei territori, che dai Latini si chiamavano “pagi”; e che estendendosi dai confini di Lucca, e di Parma sino a quelli della Libarna situata secondo Briezio dove ora è Arquà sopra Tortona, venivano a comprendere singolarmente buona parte del Piacentino montano, e del Genovesato orientale.

7) Che i Veliati fossero Liguri, lo sappiamo certamente dai fasti trionfali, in cui si dice nell’anno di Roma 595, che il Proconsolo M. Fulvio Nobiliore   trionfò “De Liguribus Eleantibus”, il quale nome “Eleantibus” vide già anche Siconio doversi mutare in “Veliatibus”: si può nondimeno aggiungere Polibio, dove insegna, che l’Appennino dal suo principio più occidentale sino a Pisa dalla parte del mare, e sino alle terre degli Aretini dalla parte Mediterranea era dai Liguri occupato; e si può aggiungere Scilace, per cui i Liguri dal Rodano si stendevano sino ad Anzio, o come legge Vossio, fino all’Arno; e dicono sia l’uno che l’altro, che Liguri erano i Veliati, da cui grande parte di quei monti era posseduta.

Finiremo per restare persuasi, quando troveremo, che il nome Barbaro “Marici”, e il Greco Veliati sono voci certamente sinonime: ma questo è riservato nel secondo libro, dove della lingua dei “Primi” Circumpadani.

Venendo ai Salluvii: che i due nomi denotassero una gente sola si desume chiaramente anche da questo, che i transalpini, da Livio, da Strabone, e da Floro chiamati Salii, due volte in Plinio, e altre due nei “fasti trionfali”, sono detti Salluvii.

I nostri Transpadani con questo nome abitavano fra l’Adda e il Tesino, dove il basso Lambro ha il suo corso: altre terre però dovevano aver possedute, sapendosi che Vercelli, la quale fu poi dei Libici, era stata opera e lavoro dei Salii.

La loro origine si è reputata Gallica da Dujazio nell’annotazione nona sopra il capitolo di Livio, che sono per citare, e sembra effettivamente, che vennero dopo i Cenomani, e si spostarono presso i Levi: ma il passo di Livio, non vol dire altro, se non che dopo i Cenomani vennero altri Galli, dei quali non si sa il nome; e che questi essendosi stabiliti dove i Salluvii abitavano, Salluvii anch’essi furono chiamati.

Così i primi Galli condotti da Belloveso  presero come si dirà, il nome degli Insubri, nelle cui terre si fermarono: e così altri popoli da loro, condotti non sappiamo da chi, assunsero secondo Gianfederigo Gronovio citato e seguito da Cellario, il nome dei Levi, gente senza dubbio Ligustica, come si disse.

E io perciò m’inchino molto a congetturare, che  i Galli, di cui si tratta, essendo “stati dai” Salluvii, si dica lo stesso dei Levi  degli Insubri, e forse di altri ancora, essendo stati inizialmente accolti amichevolmente, e poi anche aiutati nella difficile impresa di contrastare gli Etruschi entro il loro confini dell’Arno, e di spegnere il seme, dovunque in quelle parti si erano stabiliti, per riconoscenza volessero chiamarsi col nome dei loro alleati ed amici.

Se pure non è una cosa da dire, che la continuazione dei vecchi nomi Italici venisse dai vicini, i quali trovando che i Galli fossero un miscuglio di varie genti, e non sapendo con quale nome Gallico dovessero chiamarli, seguitarono a dare a loro il nome degli antichi  e primi abitatori.

Certamente Livio fra i popoli che seguirono Belloveso, nomina Biturigi, Averni, Ambari, Carnuti, ecc.; e di questi non si ha notizie in quali terre nel paese Circumpadano occupassero; se degli Ambari non si dicesse,  che si stabilirono tra gli Orobii, dei quali su una “terretta” chiamata Barra al tempo di Plinio già rovinata e distrutta.

Sia di questo quel che si vuole, il testo di Livio non può avere se non il senso, che ho esposto, o altro poco diverso: e la ragione è manifesta, perché i Salluvii o Salii 8) transalpini indubbiamente erano Liguri; e lo testifica Livio medesimo dove dice, che gli Insubri, i Cenomani, i Boj avendo suscitati i Salii, e gli Ilvati, e gli altri popoli Ligustini , avevano investita Piacenza.

9) Per gli Ilvati , gente fra i Liguri affatto ignota, si vogliono intendere gli Eleati o Veliati, di cui si è detto, e che in un luogo più “acconcio” non potevano essere per unire utilmente le loro forze a quelle dei tre popoli capi della sollevazione: e per i Salii non avendo lo storico potuto intendere i transalpini, che erano troppo lontani per assalire Piacenza improvvisamente, è fuori di dubbio, che intese i transpadani, fra i quali e la città vi era una distanza di poche miglia: e se intese che fossero questi, già li riconobbe per Liguri, come dimostrano le parole “e gli altri popoli Ligustini”.

Cluverio rimprovera Pausania per aver detto, che Cigno fu Re “dei Liguri transpadani”, quasi che tale gente non si fosse stesa al di là del fiume: da ciò che sono andato a dire dei Salii, dei Levi, e dei Taurini, si comincia a vedere, se quell’eruditissimo Greco meritava quel rimprovero.

Il Lambro e l’Adda, verso le cui foci abitavano i Salii e dalla parte delle sorgenti vi erano gli Orobici: insegna Catone, che della loro stirpe erano quelli di Como e di Bergamo, e del Foro di Licino di altri popoli di quel circondario,  dei quali però nessuno è nominato dal dotto Censore.

Di questi Orobici ha detto brevemente Alessandro Polistore, che erano Greci: ma se avesse posto mente, che un nome greco, o barbaro non è indizio di barbara o greca origine, avrebbe forse imitato Catone, il quale scrisse candidamente di non sapere quale gente gli Orobici fossero.

Gaudenzio Merula li ha fatti Insubri; ma non recando di questa origine nessuna prova, ci disobbliga dal credegli, e dal fargli altra risposta.

Molto diversamente procede il valorosissimo Sig. Rota; perché dopo aver brevemente rigettato le favole del suo concittadino Giangrisostomo Zanchi, che per disgrazia a quei tempi troppo comune seguì le tracce d’Annio da Viterbo, si mette a provare con pari impegno e erudizione, che gli Orobici erano gente Etrusca.

Il forte del discorso è questo precisamente, se per inavvertitamente non dico errori.

I Galli Bellovesiani, e nominatamente i Cenomani si stabilirono nelle terre possedute prima dagli Orobici nel paese transpadano, e fecero in modo, che i primi possessori non si nominassero più fra i popoli della Gallia di quelle parti: Etruschi dunque erano gli Orobici, essendo indubitato, che salvo il popolo dei Veneti, tutta la Transpadania prima dell’arrivo dei Galli era in possesso degli Etruschi.

Ma debbo dire, che non susistono tutti gli antecedenti; e che quando pure sussistessero tutti, non sarebbe legittima la conseguenza.

E’ verissimo, che i Galli si stabilirono nelle terre degli Orobici, insegnando Giustino nel libro, che città fabbricate dai Galli erano Como e Bergamo; e dicendo Tolomeo (libro*), che Bergamo spettava ai Cenomani.

E’ anche vero o almeno assai verosimile, che dopo lo stabilirsi dei Galli nessun popolo della Transpadania detenesse più il nome degli Orobici, non trovandosi registrato siffatto nome fra quelli dei Galli al di là del Po’ ne da Polibio, ne da Livio, ne da Strabone, ne da Tolomeo, ne da altro antico: ma non è poi vero, comunque lo dica Livio, che tutta la Transpadania fosse degli Etruschi, essendosi già veduto, che all’arrivo dei Galli una parte di essa era dei Taurini, dei Levi, e dei Salii, genti Ligustiche, e dovendosi vedere fra poco, che un’altra parte anche maggiore spettava agli Insubri, ai Libui, e ad altri popoli, che certamente non erano Etruschi.

E se qualche tratto al di là del Po’ non fu degli Etruschi, come assicurarsi, che fosse attribuito da Catone agli Orobici? Supponiamo non di meno, che Livio non abbia esagerato;  supponiamo che Barra, “unde Bergomates Cato dixit ortos” , fosse la primaria sede degli Etruschi di quella parte; supponiamo che fosse una delle dodici, o diciotto capitali città dell’Etruria Circompadana; supponiamo, che dominasse sovranamente dove i Galli fondarono poi, o almeno crebbero Como, Bergamo ecc., non per questo gli Orobii sarebbero stati Etruschi; essendo cose molto diverse, che un popolo abbia avuto città, e dominio in un paese, e che gli abitanti di quel paese siano stati per origine di quel popolo.

Nella Venezia degli Etruschi ebbero Adria; e non per questo tutti i Veneti furono Etruschi.

Aggiunga il nostro Autore, che milita contro gli Orobici Etruschi il concetto di lui contro gli Orobici Galli:  perché se dall’aver confessato Catone di non sapere quale gente fossero gli Orobici, ha egli creduto di poter arguire, che Galli non furono, potrà ognuno arguire altresì, che non furono Etruschi.

E se da questa conseguenza forse preveduta ha egli pensato di ripararsi esponendo il buio delle prime cose Etrusche Circumpadane molto maggiore e più fitto per la loro notissima imperscrutabile antichità, che non quello delle prime Galliche anteriori all’età del Censore di soli quattro, o cinque secoli, questo riparo non può in nessun modo salvarlo; insegnando troppo chiaramente Strabone, anche per ciò sommamente benemerito della più antica nostra storia, che la venuta degli Etruschi di qua dell’Appennino “di poco” aveva preceduta quella dei Galli al di qua delle Alpi.

Il qual “di poco” si dovrebbe spiegare di almeno due generazioni, se crede si potesse, che Trogo, o Giustino abbia parlato rigorosamente, quando nel raccontare delle terre Circompadane lasciate dagli Etruschi vinti dai Galli, invece di dire “antiquis” dice “avitis sedibus ammissis”: ma si spieghi di una,di due, o di tre, per noi è il medesimo.

Per scoprire la vera origine degli Orobici, mancando ogni altra guida bisogna rivolgersi a Siconio Apollinare; e si può farlo con molta fiducia, essendo chiamato da Claudiano Mamerto “eruditissimus virorum”.

Dice, che il Lambro aligofo, il cerulo Adda, il presto Adige, e il pigro Mincio, nascevano dai monti Ligustici, ed Euganei: l’aggiunto Euganei si riferisce ai monti dell’Adige, e del Mincio, ed è preso dagli antichi abitatori di tali monti: Ligustici dunque si riferirà ai monti dell’Adda, e del Lambro, e sarà preso dall’antica gente, che vi abitava: l’antica gente, che tenne già i monti del Lambro e  dell’Adda, e senza fallo l’Orobia: (10) gli Orobii dunque erano gente Ligustica.

Questo è confermato mirabilmente dall’essere stati Liguri anche i Libui tanto vicini agli Orobici, e detti da alcuni Greci Libii, da Polibio libro Lebecii, da Plinio, e da Tolomeo Libici.

Dopo l’irruzzione Gallica li troviamo ristretti nel Vercellese , che prima fu dei Salii, e nel Lomellino: ma prima si stendevano molto di più; e lo sappiamo da Livio dove insegna, che i Cenomani si fermarono dove ora sono Brescia e Verona, luoghi già tenuti dai Libui.

Ne si dubiti, che questi Libui non fossero gli stessi dei Lebecii o Libici: dice lo stesso Livio, che se Annibale fosse passato per le Alpi Pennine e per quelle Graje, non nelle terre dei Taurini, come avvenne, ma per quelle dei Salassi montani nel territorio dei Libui Galli sarebbe venuto a sboccare, e certissimo, che per le Alpi Graje, e Pennine riesce il cammino nel Vercellese, che era dei Libici, come si può vedere nell’accennato luogo di Plinio: certissimo è dunque altresì, che il territorio dei Libui era quello dei Libici, e che i Libici erano Libui.

E se Livio questa gente chiama Galli, non può averlo fatto se non per la ragione sopra descritta nel parlare dei Salii, essendo senza dubbio, che i Libui erano veri Liguri.

Si ha da Pausania, che Liguri erano i sudditi transalpini di Re Cigno: dice Catullo, che a Brescia, la quale, siccome ho detto, era nelle terre possedute un tempo dai Libui, sovrastava la “vetta Cignea”, cioè una vetta dal Re Cigno denominata, come l’intende anche il ricordato Giangrisostomo Zanchi addotto per disteso nel nuovo “Commentario” del chiarissimo Giannantonio Volpi: pare si abbia da questo qualche lume, i sudditi transalpini di Cigno essere stati i Libui principalmente, e però questi Libui essere stati Liguri.

Ma se ciò non bastasse, come in realtà non basta, ci leveranno ogni dubbio la testimonianza di Teone, in cui i Liguri, con i quali secondo la favola venne alle mani Ercole tornato dalla Spagna, sono chiamati Libii; quella di Apollodoro, il quale parlando anc’egli di Ercole, dice che i buoi di Genone per la Gallia menava in Grecia, dice, che arrivò nella Libia, e nell’Etruria: dove Libia è manifestamente Liguria , e non può essere altro; e quella di Plinio, per cui due piccole bocche del Rodano erano dette Libiche, senza dubbio per i Liguri, i quali non solamente, come si è detto parlando dei Veliati, si stendevano dal Rodano sino ad Anzio, o almeno sino ad Arezzo, ma dalle terre degl’Iberi si stendevano sino al Rodano.

Sopra i Libui vi erano gli Euganei, che dovettero essere un tempo un popolo numeroso e grande, avendo occupato oltre altre terre, che andremo dicendo, anche quelle della Venezia. La quale nei più antichi tempi, secondo l’insegnamento di Scilace e Scimmo Chio, si stendeva sino all’Istria.

E che sino in quel posto arrivassero gli Euganei, non ne lascia dubitare Siconio, dove chiama Euganeo il Timavo, che è un fiume lontano poche miglia da Trieste.

Ma questi Euganei , dice chiarissimo il Sig. Marchese Maffei nel suo trattato, che gente furono? Quale autore mai ci disse da dove venissero? Ciò viene detto con grande ragione, non avendo gli antichi insegnato di quella gente, se non fosse che su una parte dei compagni, e soldatini Ercole, che è una vera favola, come si dirà parlando dei Leponzi: aggiunge però quasi subito lo stesso autore che gli pareva assai credibile, che Etruschi fossero gli Euganei, o almeno che da quella stessa parte siano venuti:ma non sarebbe punto meno bello il “Trattato” senza questa aggiunta; massimamente che l’autore non porta nessuna vera prova, e a quella che potrebbe prendersi da Livio, per cui tutta la Transpadania fu degli Etruschi, salvo l’angolo dei Veneti, si è già risposto nel parlare degli Orobici.

Oltrechè è manifesto, che non si possono fra Etruschi gli Euganei senza alterare interamente le memorie più antiche dell’uno e dell’altro popolo, le quali insegnano, che gli Euganei erano nelle terre Traspadane, quando da Troia arrivò Antenore; e che gli Etruschi non ne sottomisero gli abitatori se non prima che vi calassero i Galli Bellovesiani.

Per me posso dire, che ho voluto esaminare tutto, e che penso di non ingannarmi affermando, che gli Euganei siano stati Liguri.

Plinio dopo aver detto che le genti Euganee erano nel dritto Latino; che trentaquattro loro castelli aveva numerato Catone; e che due dei loro popoli erano i 12)Triumpilini, o sia quelli di Valtrompia, e i Camuni, o sia quelli di Valcamonica, aggiunge, che la capitale di tutti era Stono.

Il popolo particolare di questa Stono era quello, che da Strabone è detto degli Stoni, e lo ricorda dopo i Trentini; e gli Stoni non sono diversi se non per pronunziazione dagli Steni, che Cellario nella carta della Gallia Cisalpina, colloca “all’occasos” di Trento.

Ora apparendo dai Fasti trionfali, che questi Steni capi delle genti Euganee erano Liguri, sembra apparirne insieme, che Ligustiche fossero tutte quelle genti.

L’accennata memoria dei Fasti trionfali è quella, in cui si dice, che il Proconsolo Q. Marcio Re trionfò “de Liguribus Steneis”; e fu l’anno di Roma 636.

Il termine generale di Liguri aggiunto al particolare di Steni può dare alla proposizione due sensi.

Il primo, che Marcio trionfasse di un popolo della Liguria propria, il quale si chiamasse Steni.

Il secondo, che Marcio trionfasse degli Steni Euganei, i quali “avvengachè” non fossero un popolo della Liguria, erano però Liguri.

E senz’altro deve preferirsi questo secondo senso. Le ragioni sono due; La prima, che trovandosi nelle antiche memorie cento volte ricordati si può dire tutti i più miseri popoli, e tutte le più diserte catapecchie della Liguria per la lunga e ostinatissima resistenza, che ad ogni passo vi trovano i Romani, e di Sono, o di Steni, come di luogo, o popolo esistente in quel tratto, non essendo mai né in metallo, ne in pietra ne nei libri fatta menzione, o dato cenno, si ha grande fondamento di credere, che mai non ci fossero.

La seconda, che quand’anche della Liguria non si avesse una minuta notizia, senza necessità non è da introdurre nella storia un popolo affatto nuovo, e da nessuno mai conosciuto, quale sarebbe quello degli Steni nella Liguria; e la necessità qui non si vede, camminando assai bene, se si dice che gli Steni Euganei per origine furono Liguri.

E se Liguri erano loro, che da tutti gli Euganei si “riguardavano” come capi, è, torno a dire, molto verosimile, che fossero Liguri gli Euganei tutti.

Si veda Cellario, che gli Steni sottomessi da Marcio reputò nel “libro*” Liguri marittimi; ma avendo poi tutto esaminato meglio, gli credette anch’esso “libro*” gli Steni Euganei, e di questi dissevidentur ex Liguria originem babuisse vel communem cum priscis Liguribus”.

Si può aggiungere l’autorità di Stefano: ma è superflua.

Vuole nel citato luogo il M: Maffei parlando sempre degli Euganei, che standosi a Servio converrebbe crederli Popolo Illirico; io però in quel dotto Grammatico non ho saputo trovare  tale cosa.

Egli dice, che Antenore arrivò nell’Illirico, e che avendo contro di lui prese le armi gli Euganei, e il Re Veleno, ne ebbe vittoria, e fondò Padova: ma quest’asserzione tutta intera sussiste anhe per chi dice con Livio poco fa addotto, che quella vittoria non nell’Illirico, dove Antenore s’inoltrò, ma in Italia dove il suo inoltramento fu riportato, e che non da luoghi Illirici, ma da Italici, e nominatamente da quelli, che sono dell’ultima estremità dell’Adriatico fra le Alpi, e il mare di quella parte, gli Euganei furono obbligati a ritirarsi.

Conferma tutto questo Virgilio, il quale dicendo, che Antenore potè alla sicura non solamente penetrare nell’Illirico, e nel cuore della Liburnia, ma oltrepassare le sorgenti del Timavo, viene a dire altresì, che in quelle terre non trovò nemici, e con cui dovesse combattere.

13) Popolo Euganeo, e però Ligustico anch’esso, credo, che fossero i Mediaci ricordati dal solo Strabone.

Il loro sito è indicato dai due fiumi del medesimo nome, i quali uniti secondo Plinio con la fossa Clodia formavano il porto Edrone, cioè del P. Arduino il porto di Chioggia: e che fossero Euganei, me lo fanno credere quegli Scrittori, che parlando del paese in cui abitavano,ricordano quando il colle Euganeo, quando le Euganee spiaggie, e l’Euganee carte.

Dalle genti Ligustiche, che furono “Prime” nel paese Circumpadano, o che almeno dalla classe dei “Primi” non si possono escludere per chiari titoli, dobbiamo passare agli Umbri, o come dicevano i Greci, Ombri, e Ombrici.

La loro sede era alla cima del lago Lario; e qui li trovò Probo, anzi posso dire, li trovò Erodoto.

Dice il padre della Storia parlando di quella parte del Danubio, che è fra le sorgenti del fiume e  la Pannonia, che vi entravano due altri fiumi correnti verso settentrione, e che questi venivano da una regione posta sopra gli Umbri: si vede subito, ch’egli parla dei nostri Umbri alpini, sopra i quali sono i più alti gioghi delle Alpi Retiche, dalle quali scendono più fiumi verso settentrione, i quali  infine si scarico nel Danubio.

 E se nella Rezia transalpina non si trovano i due fiumi Carpi, ed Alpi nominati da Erodoto; sono forse periti affatto gli antichi nomi; i nomi moderni sono forse traduzioni degli antichi; forse lo Storico in una minuzia di paese tanto da lui lontano si è ingannato; e qualunque partito piaccia ad altrui di prendere, è sempre vero, che Erodoto riconosce anch’egli i nostri Umbri del Lario, e mentre conferma l’importante detto di Probo, riceve per contraccambio, che s’intenda alla fine un suo testo reputato sin’ora inintelligibile.

Se fossero “Primi” gli Umbri delle Alpi, si vedrà dove parleremo di quelli dell’Appennino.

Sarà quindi provato che nacquero dagli Umbri alpini: potrà ognuno da se concludere, che dunque gli Umbri alpini furono anch’essi “Primi”.

Dopo gli Umbri si presentano qui gli Insubri, che da Plutarco in Marcello si chiamano Insobri, e meglio si direbbero con Polibio Isomeri, o alla nostra maniera Isumbri.

Sono stati creduti di età non anteriore a quella di Belloveso, e fra coloro, che hanno così creduto è anche Bonnaventura Castiglione nel libro “De Gallorum Insubrium antiquis sedibus”: ma per vedere che questo è un errore, basta udire Livio, il quale parlando dei Galli Bellovesaiani arrivati allora allora dalle terre al di là delle Alpi, dice che essendosi fermati non lontano dal Tesmo, intesero che quei luoghi territori degl’Insubri erano chiamati.

Di questi andati sono farina di Guavaneo Fiamma, autore del secolo decimoterzo, e però troppo recente per poter con la sua sola asserzione autorizzare un fatto così antico.

Né varrebbe dire, che quando per favola, che un Subres Etrusco fosse mai nell’Insubria, tanto pare storia verissima, che gli Insubri fossero Etruschi: perché neppure con questa limitazione ha fatto Scrittore antico, che lo affermi.

Non può quasi dubitarsi, che anche nel paese bagnato dal Tesino e dall’Adda, non si stabilisse qualche banda d’Etruschi, quando vennero dall’Etruria: certo insegna Livo, che dai Celto-Galli furono i Toschi battuti presso il Tesino: ma che gli Insubri che qui abitavano fossero Etruschi, Scrittore d’autorità non l’ha mai detto, se autorità non ha il Viterbese, per cui in Catone Milano fu prima detta Olano da un condottiero Tosco del medesimo nome.

Non essendo stati i  primi Insubri Celto-Galli Bellovesiani, e non essendo stati neppure Etruschi, sarà grande la curiosità di sapere quale gente fossero.

Non trovo sillaba negli antichi scrittori, dalla quale si possa “pigliar lume”: spero nondimeno di poter supplire a questo difetto con la storia “dei Primi Abitatori dell’Umbria”, e con la lingua, che si parlava nei primi tempi intorno al Po’, mostrando con questi soccorsi, che gli Insubri furono Umbri delle Alpi scesi in pianura: ma per questo supplemento devo pregare chi legge di volermi concedere dilazione.

Dirò in questo mezzo, che si propagarono i nostri Insubri anche fuori dall’Insubria.

Parlano Cesare, Stradone, Plinio, e Tolomeo dei Caturigi, oggi corrottamente Chorges, nelle vicinanze d’Embrun città del Delfinato, luoghi spettanti alla Gallia dopo la distribuzione delle Provincie  fatta dall’Imperatore Galba, ma che nello spartimento d’Augusto erano compresi nell’undicesima regione d’Italia: di questi Caturigi insegna Polibio, che erano fuoriusciti dagli Insubri, cioè gente o separatisi per propria volontà, o scacciati dal corpo Insubrico, forse non per avere voluto soffrire anche loro gli Etruschi, o i Celto-Galli, quando passarono in quei territori.

14) Sono noti i Vagenti della Liguria, abitanti verso le sorgenti del Po’: dice Plinio, se è sincera la lezione d’Ermolao Barbaro ritenuta dal P. Arduino, che discendevano dai Caturigi, e vuol dire, che erano anch’essi Insubri, e però Umbri.

Delle terre Cispadane fra il Taro e il Rubicone appena si sa altro per rispetto “ai primi tempi”, salvo che furono abitate.

Vennero i Pelasgi poco dopo il Diluvio di Deucalione, e presero terra alla foce più australe del Po’ (dopo il Diluvio ciò non è possibile perchè non sapevano ancora navigare): dice Dionisio, che i nuovi ospiti cinsero presto di nuove mura i loro primi alloggiamenti, quasi che dai paesani temessero di qualche insulto: ma contro quale gente si fortificasse, e di quali popoli si temesse, nessuno ha mai scritto.

Di quei Pelasgi meno atti alla guerra, che non passarono verso il Tevere, ma furono lasciati alla custodia degli alloggiamenti, e poi fondarono Spina, dice lo stesso Dionisio. Che valendosi delle loro barche si procacciavano in ogni maniera vettovaglie, e ne riportavano anche più del bisogno. Queste provvigioni verosimilmente non fecero dalla parte del mare, di cui erano del tutto inesperti, e dirò anche paurosissimi per la burrasca, che alle nostre spiagge li aveva gettati: le avranno ricevute singolarmente dalla sponda destra del fiume, lungo la quale potevano navigare più facilmente, e senza troppo scostarsi dalla loro città: ma quale razza di uomini “le somministrasse”, o “le soffrisse” vilmente,  che le si togliessero, è sicuramente ignoto.

Dice Ovidio nel racconto favoloso della caduta, e della morte di Fetonte, che le donne, o come egli le chiama, le Naiadi Italiche, cioè come allora si credeva, abitanti del basso Po’, e singolarmente su quel ramo più meridionale, che si chiamò Padusa, e Spinetico, gli diedero sepoltura, e sul sepolcro posero un’iscrizione, che il fatto alla posterità ricordase: di qual popolo, o di qual gente fossero queste nostre pietose “Ninfe” non dà pur cenno.

Dopo più secoli vennero gli Etruschi; e si sa, che attaccarono, e sottomisero i Barbari del paese, e che stabilirono in Stesina, ora Bologna la capitale della nuova Etruria: qual gente fossero i Barbari vinti da questi stranieri non si legge in nessun antico.

Però credo, che fra i Cispadani, di cui cerchiamo, fosse qualche popolo Ligustico, perché mi pare impossibile, che tale gente, di cui era seminato tutto il prossimo Appennino sino ad Arezzo, da nessuna parte calasse nelle pianure soggette, e nessun luogo ne occupasse: per altro la maggiore e massima parte di tutto questo tratto era secondo me in potere degli Umbri.

Dice Livio, che i Celto-Galli Boj, e i Linoni venuti in Italia dopo i Cenomani, e i Salii, avevano passato il Po’, scacciarono non i soli Etruschi, come avevano fatto gli altri loro compatrioti dal paese Transpadano, ma anche gli Umbri: i Boj da principio occuparono poco più, poco meno, i territori di Parma, Reggio, Modena, e di Bologna; e i Linoni si portarono più oltre verso Ravenna: in tali territori dunque prima della venuta dei Celto-Galli vi erano gli Umbri.

E qualche cosa di più aggiunge Strabone, mentre insegna, che quando gli Etruschi attaccarono i Tessali di Ravenna, e questi riconobbero di non potersi più sostenere, cedettero la città agli Umbri, e se ne Tornarono in Grecia.

Non dice il Geografo per quale motivo presero questa decisione i Tessali; ma fu verosimilmente perché dagli Umbri erano stati bene accolti, avevano ricevuti aiuti, e fra le due genti non vi erano state discordie.

Più forti prove avrei adottate, se avessi saputo trovarle: non avendone però di uguali per un’altra opinione, ognuno potrà credere, né sarà esposto e essere tacciato di aver troppo bevuto, che le terre Cispadane fra il Taro, e il Rubiconde furono nei tempi più antichi tenuti dagli Umbri singolarmente.

Resta l’ultima delle “Prime” tre genti Circumpadane, ed è quella dei Taurisci, che poco o nulla sono stati considerati da chi ha scritto nel nostro argomento, e pure non possono essere ignorati senza danno grandissimo della nostra antica Storia.

Stando a Plinio, dovremmo crederli popolo ristrettissimo in Italia, non attribuendo loro quello storico oltre Noreja, alla quale dall’Adriatico si poteva accedere per acqua, se non il poco di più, che nelle nostre Alpi fu Norico: ma senza fallo ebbero un paese molto ampio, e che lo tenessero sotto i 15) nomi di Reti, di Leponzii, e di Salassi.

I Salassi, la cui capitale fu Avosta poco lontana da un luogo ancora oggi chiamato Sala, mi parvero già, attesa la somiglianza del nome, popolo Salio, o Salluvio, e però Ligustico, siccome dissi, una loro colonia scendesse dalle sponde dell’alta Dora, s’inoltrasse alla Sesia, dov’è Vercelli, e quindi passasse al Lambro: ma in materia d’origini non è per così poco da lasciare Catone; e quest’uomo illuminatissimo insegna presso Plinio, che i Salassi furono Taurisci.

La medesima origine nel medesimo luogo egli dà ai Leponzii: e viene con ciò a riporre fra le favole, come fece poi anche Livio, di cui Plinio qui non degnò far menzione, che Ercole fosse passato per quelle contrade tenendo la via delle Alpi Graje; e che molti dei suoi assiderati dal freddo, e impotenti a seguirlo, avesse qui lasciati, detti però Leponzii.

Primaria sede di questa gente fu Oscena ricordata da Tolomeo, oggi Domodossola: ma arriva sino alle fonti del Rodano; dove comprendeva anche i (16) Mefiati posti nella Tavola Peutinperiana sopra il lago Verbano, verso le sorgenti del Tesino, e del Rodano stesso.

Gli Inglesi , autori della “Storia Universale “tomo” , ricordano fra i più antichi popoli della Gallia Cisalpina i Canini: e come non furono, che si sappia, ne gli Etruschi, ne i Galli Bellovesiani, così piò parere, che siano stati un antichissimo popolo del paese, e però da non omettersi in questo luogo.

Ma sia certo chiunque legge, che popolo detto Canini non fu mai o al piano, o al monte nelle terre Circompadane.

Sopra il lago Verbano, o Maggiore, dov’è Belinzona, fu un tratto di paese chiamato Campi Canini: e dobbiamo la notizia di questa precisa situazione a Gregorio Turonefe, dove parla della morte di certo Olone: nomina questi Campi anche Ammian Marcellino, raccontando una spedizione dell’Imperatore Costanzo contro alcuni popoli Alemanni: che la gente qui abitante si chiamasse anch’essa Canini, né da Ammian, ne da Gregorio, ne da altro Scrittore d’autorità ha detto giammai.

 E a torto si pretenderebbe, che il nome del luogo si debba, o si possa liberamente accomunare con gli abitanti.

Nella Cispadana, e forse nel Modenese, dove ora è Magreda sulla Secchia, furono i Campi Macri ricordati anche da Columella, e da Strabone. Nella Transpadana sulla Sesia furono i Campi Riudii, di cui Patercolo: nessuno dirà senz’antico scrittore, che nella Gallia Cisalpina vi fosse un popolo chiamato Riudii, un altro chiamato Magri.

E se  per forte monumento autorevole si scoprisse, in cui i Belinzonesi, ed altri del contorno fossero chiamati Canini, si dica con Cellario, che furono Leponzii, e sarà a dire, che furono Taurisci.

Fra i Taurisci Leponzii, e i Taurisci Norici vi erno i Reti: e se “altri meravigliasse”, che qui se ne parli, mentre gli scrittori comunemente danno loro sangue diverso dal Taurisco, e li fanno d’età molto posteriore a quella dei nostri “Primi”, si va a conoscere, se giustamente un  altro poteva farsi.

Dice Livio, e si possono aggiungere Giustino, e Stefano, che i Reti furono Etruschi; e vuole dire come sopra si è dimostrato, che furono poco più antichi dei Celto-Galli Bellovesiani: sia però detto con riverenza, intorno siffatta origine possiamo poco fidarci di Livio; e per conseguenza degli altri due, le cui testimonianze può egli pretendere, che si risolvano nella sua.

Riferiamo le parole stesse dello Scrittore, e vedremo se vi è ragione di sospettare, per non dire peggio.

“L’origine delle genti Alpine”, ha egli detto poco fa, “e dei Reti Massimamente senza dubbio fu Etrusca”.

Mi sia permesso di non lasciare più oppressa la verità: se è falsa la qualificazione di Scoppa, “Livii in istoria mendacis”, non è troppo vera quella di Tacito, “Titus Livius fidei praeclarus in primis”.

L’origine Etrusca delle genti alpine in generale è una falsità evidente, come dimostra quanto si è detto in questo capitolo dei Coziani, tra gli altri, dei Taurini, degli Orobici, degli Euganei, degli Umbri del Lario,  e quanto si dirà appresso di tutti i Taurisci, Norici, Leponzii, e Salassi.

Falsità così evidenti spacciate dal nostro Storico per cortissima verità, e “l’baud dubie” del testo canta sonoramente: domando, se parlando così Livio intorno agli “Alpini” in generale, sia un gran peccato diffidare di lui per i Reti in particolare, e non ammetterne a occhi chiusi l’autorità? Egli sceglie i Reti, e li discosta dagli altri Alpini, “maxime Rabaetis”: anzi non contento di ciò per provare la loro origine dagli Etruschi adduce, che le lingue delle due genti “nel suono” si assomigliavano: ma il “maxime Rbaetis” non esclude gli altri, che sicuramente non furono Etruschi, e la tenue somiglianza, di cui si parla, poteva facilissimamente essere nata o dalla prossimità, o da qualche maggiore commercio dei due popoli, quando gli Etruschi erano al di là del Po’; o dall’essersi qualche banda di Etruschi ritirata nella Rezia, quando la nazione fu assalita e vinta dai Celto-Galli Bellovesiani; o dall’essere qualche colonia di Reti per tempi antichissimi passati in Etruschi, di che dovremmo parlare altrove; o finalmente dall’essere i Primi abitatori dell’Etruria nati da un popolo, che fra i Reti avesse abitato, di cui similmente sarà detto a suo tempo.

Giustino all’insegnamento di Livio aggiunge del suo, che i Reti furono così denominati in grazia del condottiero, sotto cui occuparono le Alpi: ma di questa denominazione non può darsi miglior giudizio che quello di Wachter: “Rbactos a Duce quondam Rbacto cognominatos esse, fabulam sapit, nec magis side dignum videtur, quam quod Diodorus scribis, Scrytbas a Srytba Jovis filio, Galates Herculis filio appellationem accepisse”.

E se l’induzione del dato autore è forse un pò scarsa per la conseguenza, che si vuole trarne, potrà ognuno aumentarla quanto gli piacerà, essendo infiniti gli esempi di genti, di città, di provincie, che si dicono denominate da personaggi non vissuti mai se non nella testa dei favolatori.

E se la favola di Reto contiene pure, come altre vogliono, qualche verità per mio avviso è questa sola che ho già accennata, che alcuni Etruschi Traspadani, temendo di essere dai Celto-Galli assediati, e di non potersi traghettare sulla destra del fiume per far ritorno alla loro Etruria, guadagnarono con la scorta di qualche caritatevole uomo della Rezia, “duce nomine Rbacto”, qualche luogo di quelle montagne, e vi si stabilirono.

Di nessuno conto, in questo, si debbono avere le testimonianze di chiunque sa i Reti Etruschi, ci ha dato esempio Plinio, dove riferendo il contenuto di quante ne aveva incontrate, dice bensì, che dagli Scrittori si era arbitrato la gente dei Reti essere venuta dagli Etruschi espulsi dai Celto-Galli, e condotti da Reto: ma quantunque stimare potesse gli Etruschi, e avere a cuore la gloria della sua patria, città un tempo degli Euganei, e dei Reti, ad approvare quell’arbitrio non seppe indursi; che è grande indizio di poca fede, e indizio non poco degno di riflessione.

Così rigettata la falsa origine dei nostri Reti, ecco, se non m’inganno la vera.

Abbiamo da Strabone, che i Leponzii erano gente Retica, e da Catone già addotto, che erano Taurisci: erano dunque Taurisci e Reti la medesima gente, non dovendosi mettere in contraddizione fra gli autori senza necessità.

Non erano la medesima gente, perché i Taurisci dai Reti; se ne troverà tutt’altra origine nel seguente capitolo, dove sarà anche messo in chiaro il loro “Primato” in Italia: lo erano dunque perché i padri dei Reti erano stati i Taurisci, giacchè della loro fratellanza, e dell’essere i Reti immediatamente nati dal popolo, da cui nacquero i Taurisci, non si ha indizio.

A Strabone si può forse aggiungere Polibio, dove racconta, che nella famosa giornata, in cui restò morto il console M. Attilio l’anno di Roma 529, contro i Romani “pugnarono” i Boj, Insubri, e Taurisci.

Per questi Taurisci vorrà intendere qualcuno i Salassi o i Leponzii, e per me lo faccia, se la notizia, che quelle genti portassero mai le armi fuori dalle loro montagne: ma è verosimile, che si debbono intendere i Reti, che erano vicinissimi agli Insubri, e si trovavano molte volte scesi in pianura per guerreggiare, come si può vedere anche presso Strabone “libro*” .

Non ho parlato dei Veneti, nonostante ché agli altri pregi di tanto illustre e celebrata nazione si debba aggiungere anche quello secondo me di essere stata molto più antica in Italia di quanto non si crede comunemente.

Si può essere sicuri che che la venuta degli Eneti Afiani con Antenore nelle terre degli Euganei è una favola.

Erodoto certamente testifica, che i Veneti furono Illirii; e trattandosi di un punto storico, egli merita altra fede, che non quella di un poeta, quale fu Sofocle, il primo, per quanto ne so, che per onorare la sua tragedia sulla rovina di Troja mettesse Antenore alla testa degli Eneti, e li Spingesse tutti in Italia a fondarvi uno stato divenuto poi fiorentissimo.

Per ciò, che si aspetta dagli Eneti Pastagonii, e contro Sofocle anche Strabone, inducendo a credere questo dotto Geografo, che i Veneti Italici fossero gli stessi dei Veneti Celto-Gallici, cioè da quelli di Vannes nella bassa Bretagna.

E con Erodoto contro Sofocle vi è anche Servio, egli ammette la venuta di Antenore, come hanno fatto generalmente gli Scrittori delle cose Romane per fiancheggiare quella di Enea; ma non riconosce gli Eneti venuti dall’Asia con lui; anzi suppone, che il paese da lui occupato si chiamasse prima Venezia, o Inezia, e cioè dal nome di un Re Illirico chiamato Eneto.

E’ alterata da Servio la dottrina d’Erodoto per l’introduzione del Re Eneto, e per lo sghembo di Inezia mutata in Venezia, di questo nell’altra mia Opera si parlerà; ma la sostanza rimane intatta; i Veneti si riconoscono per Illirii; e di più si riconoscono di antichità superiore a quella del “Chelidro d’orribil pelo, venditor della patria”, come Licofrone troppo cortesemente chiamò Antenore.

Ma essendo i Veneti tanto antichi, perché non li ho io posti con gli altri, che possono pretendere di essere stati “Primi” Circumpadani? Non l’ho fatto per una ragione, bramo sia trovata meno buona, ed è questa; che le migliori memorie a noi pervenute ci obbligano tutte a mettere il principio deg’Illirii dopo il Diluvio di Deucalione.

Quando si udisse la prima volta nome tanto famoso, è del tutto incerto: ma alla fine il sentimento più favorevole all’antichità della nazione è quella di Eustazio, che la vuole denominata da Illirio figlio di Cadmo.

Questo Cadmo fu indubbiamente posteriore a Deucalione: posteriori furono Illirico e gli Illirii: e i Veneti, che gli Illirii furono, non possono essere stati “Itali Primi”.

Non si vedono qui menzionati neppure certi Refeni, e certi Tyrani del chiarissimo Quadrio, “comechè” secondo lui dovessero tenervi il supremo luogo: e perché io abbia così esclusi dall’ordine dei popoli, che furono, o possono pretendere di essere stati “Primi Itali”, eccolo brevisimamente, se potrò pure non allungarla alquanto, anche scegliendo dal meraviglioso Quadriano Sistema quello solo, che riguarda i Circumpadani.

Dice l’Autore, della già lodata “Dissertazione, che i “Primi Abitatori” della Rezia di qua delle Alpi, o sia della Valtellina, furono Refeni.

E intorno a ciò non vi sarebbe nulla da opporgli, se ammettesse l’opinione di Livio, e di altri, che i Primi Reti furono Etruschi salvatisi nelle montagne dai Celto-Galli Bellovesiani, essendo in effetti gli Etruschi per testimonianza di Dionisio chiamati anche Refeni: ma siccome egli rigetta Livio, e quanti lo hanno seguito; come lo condanna per aver “confusi in una due diverse venute” di Refeni nella Valtellina, cioè quella sotto Reto al tempo dei Celto-Galli, ed un’altra molto più antica, così bisogna fargli questa piccola difficoltà, che egli moltiplica gli ingressi dei Rfeni nella sua valle, e aggiunge al più vetusto le circostanze dell’essersi effettuato “per la parte del Trentino, e per li gorghi dell’Adige”, come se egli vi fosse stato presente, ma di tutto questo non porta nessuna prova; difetto che gli è famigliamirissimo, e guasta in cento luoghi la macchina da lui congeniata per far crescere il nome della sua patria senz’altro rinomatissima.

Dice che i Primi Abitatori della Valtellina furono i “Primi” di tutti gli Itali: ma quale fondamento abbia avuto per dirlo, non si legge in tutta la “Dissertazione”.

Se gli fosse bastato, che i primi Reti avessero luogo fra i “Primi Itali”, ciò poteva in qualche modo provarsi, purchè in vece di Refeni li avesse chiamati Umbri.

17) Umbri certamente prima chiamati Ambroni abitarono già sopra il Lario, come altrove si dirà; e non è improbabile, che tenessero la Valtellina in tutto, o in parte, massimamente che nell’Antica carta della Rezia dataci dall’Autore si vede alla sinistra dell’Adda quasi in faccia a Sondrio un sito chiamato “Val Ambronum”: e questi Ambroni senza fondamento si crederebbero di quelli della guerra Cimbrica: ha voluto, che i Primi Reti, per lui Refeni, siano stati la “Prima” di tutte le genti Italiche, e conseguentemente siano stati anteriori anche ai Liguri, agli Umbri, ai Taurisci, comunque anch’essi valli, e montagne avessero o contigue, o vicine alle terre settentrionali, da cui si vuole, che entrassero i “Primi”: si è trovato ridotto al cattivo passo di dover ricadere nel fallo da lui stesso condannato in Simlero, in Demostero, e in altri altrove, cioè asserire senza provare.

Dice che il nome dei Refeni fu certamente Asiatico, e che venne probabilmente da Rheifena città della Mesopotamia.

Di quel nome, e se certamente sia orientale, ho parlato: aggiungo ora, che se i Refeni furono “Primi” in Italia, l’Asiatica denominazione, che a loro vuol darsi, è improbabilissima, non trovandosi popolo fra i veri “Primi”, che sino al suo giungere, e stabilirsi in quelle parti conservasse il nome, che aveva in Asia.

Dice che la venuta dei Refeni in Italia dall’Asia fu non molto tempo dopo la divisione delle genti.

Dionisio secondo ciò, che dicemmo ci rappresenta l’Italia già abitata alla sua estremità orientale anni più che avanti a Deucalione, e vuol dire anni circa 450 dopo la divisione delle genti; ed è improbabilissimo, che abbia ciò fatto per aver trovato nelle antiche memorie, che solo a quel tempo le “Prime” nostre genti fossero arrivate sulle sponde dell’Jonio.

Poniamo che ciò sia vero; e immaginiamo una strada, che dalle campagne di Senaar conducesse al Bosforo, ai confini orientali della Pannonia; e da quei confini alle nostre Alpi, per esempio alle Pennine; e da quelle Alpi, giù per tutta l’Italia sino al mar Jonio: se divideremo tale strada in parti poco più poco meno uguali alla lunghezza dell’Italia l’avremmo divisa in tre parti, e circa un terzo.

Si dividano poi allo stesso modo gli anni 450, che passarono dalla divisione delle genti alla popolazione dell’Italia orientale da Dionisio rappresentata: avremmo anni circa 135 per ciascuna parte intera, e per terzo anni 45.

Si concepisca infine, che i Primi orientali venuti a popolare l’Italia un uguale tempo impiegassero nell’avanzarsi per ciascuna parte della strada immaginata: troveremo, che arrivarono alle Alpi Pennine 315 anni dopo la divisione delle genti.

Bene, o almeno con con una certa apparenza di probabilità, e di verosimiglianza: ma finalmente sono cose affatto ideali, e che intorno al tempo della prima popolazione dell’Italia non danno un filo di certezza e sicura luce; potendo con grandissima facilità in un così grande e complicato affare essere accaduti dei ritardi, degli “affrettamenti”, dei giri non necessari, che a noi non informati delle circostanze, in cui si trovano man mano in mano alle colonie dei viaggiatori, possono con qualche ragione parere non dirò improbabilissimi, ma falsi apertamente.

Dice, che i suoi Refeni si allargarono per quasi tutte le pianure Circompadane, dove fondarono Mantova, e Adria, e ebbero Felsina per capitale.

Sarebbe tutto questo difficilissimo da sostenersi, anche quando fosse certo, che intorno al Po’, oltre gli Etruschi calativisi per l’Appennino, ve ne fossero stati altri molto più antichi venuti per le Alpi: la fondazione delle due città, e l’innalzamento della terza al grado di capitale potrebbe sempre appartenere ai più recenti; e a loro in effetti si attribuisce da Livio, che fondassero Adria, e da Virgilio, che Mantova: essendo i Refeni della prima età popolo del tutto aereo, non si possono dar loro città, castelli se non in aria.

Dice, che gli Orobici, e gli Euganei, genti che secondo Catone e Plinio erano “Prime” fra le genti Italiche, furon Refeni.

Catone non ha mai detto che gli Orobici fossero “Primi”; e per convincersene basta leggere il testo, che addussi anche io di sopra, e che solo si può addurre;”Orobiorum stirpis esse Comun, atque Bergomun, O Licini Forum, O aliquot circa populos auector est Cato: sed originem gentis ignorare se fatetur”; dove sicuramente non si parla di “Primi”.

Quanto è a Plinio per rispetto agli Euganei, egli dice “libro*” parlando del sito, che tenevano nelle Alpi, “verso deinde Italiam pectore Alpium Latini juris Euganeae gentes, quorum oppida 34 enumerat Cato”: aggiunge poco dopo, che fra soldati d’Ercole rimasti per le Alpi alcuni mettevano”praestantesque genere Euganeos, inde traeto nomine”; ma in tutto ciò non vi è sillaba di “Primi”, ne di secondi.

 E se pretende l’Autore, com’è in effetti, che il Primato delle due genti s’insegni dai due antichi con il solo chiamarle Orobici, e Euganei, s’inganna a partito.

Non ricuso di sovrascrivere al detto da lui, che i primi Asiatici venuti in Italia spaventati ancora dal Diluvio si rifugiassero sui monti; e molto meno al detto, che Orobici significhi “viventi nei monti”; ma non per questo tutti i popoli, che nei monti vissero anticamente, furono “Primi”.

Non voglio neppure negare, benché Plinio dicendolo si sia ingannato, che Euganei significhi “generosi, bennati, nobili: ma si dice poi senza fondamento alla stessa, al nome essersi attribuito coloro “che Primi avevano qualche regione occupata, comunque possa essere fondatissimo, che fosse “gran nobiltà appo gli antichi” essere stati “Primi” in un paese; tutt’altro essendo, che i Primi popoli si reputassero “Nobili”,

e che i popoli “Nobili” si debbano tutti reputare “Primi”.

Dice , che secondo Dionisio “libro*” i primi Asiatici venuti in Italia per il Settentrione, cioè i Refeni della prima età, “nell’Attica giunti, al vederli vagere in grotte a somiglianza della Cigogne, qua e là cercando paese, furono Pelargi, o Pelasgi appellati, che appunto cicogne significa”.

Non si trova in tutto Dionisio, che i nostri “Primi” venendo dall’Asia passarono per l’Attica, e vi fossero detti Pelasgi: e avendo creduto di trovarvelo il nostro Autore, come poi definisce egli tanto risolutamente, che i nostri “Primi” non ebbero il nome di Pelasgi, che dopo molti anni dal loro propagamento lungo l’Italia sparsi?

Dice, per finirla, che secondo Morsilo Lesbio i Pelasgi si chiamarono prima Tirreni; che i Tirreni secondo M. Freret abitarono da principio nella Macedonia; che Tirreni era il medesimo che Tyrani, o Tyri corrotto per varia pronunzia; che i Tyrani, o Thirani, o Thiri erano quelli della famiglia di Thiras figlio di Jafet, cioè secondo Giuseppe Traci, secondo altri Sciti, o Persiani; che alcuni di questi Thirani, o almeno creduti tali, si frammescolarono con i più antichi Refeni, e con essi vennero nella Rezia.

Dall’ultima citata pagina si vede, che a queste graziose idee ha data occasione Tirano, luogo riguardevole della Valtellina, al quale si è voluto dare un’origine tanto antica, che non ceda a quella di  nessun’altra terra o città Italica, senza riflettere, che questo disegno obbligava a dimenticare tutti i doveri di Critico-Storico Dissertatore.

Concediamo quanto dicono Morsilo e M. Freret, affinché si possa agevolmente mostrarne la falsità con Dionisio, e con quasi tutti gli antichi, che del vero essere dei Pelasgi  e dei Tirreni hanno ragionato: era bene da osservare, che non trovandosi i Tiranefi né nominati, ne accennati fra i più vetusti popoli attribuiti dai Greci, e dai Latini alla Valtellina, e diligentissimamente raccolti nella “Dissertazione”, volersi avventurare a dar loro un’antichità non molto inferiore a quella di Babel, era mettersi in cerca della “ria” ventura.

Tirreni  era il medesimo che Tyrani corrotto per varia pronunzia: ma sapendosi, che il vero nome dei Tirreni era Rafani, e che quella gente prima di Polibio si chiamò sempre dagli Scrittori Greci Tirreni, perché mai non dire piuttosto, che nelle poche memorie, in cui per Tirreni, o Tirrenia si trova Tyrani, o tyrania, questi due secondi nomi sono corruzione di quei primi? E quando i Tirreni fossero stati Tyrani, come provare che fossero però da Thyras; e che dalla Persia, dalla Scitia, o dalla Tracia andassero poco dopo la divisione delle genti nella Macedonia? E quanto fosse tutto ciò provato, dove prendere poi le prove dell’essersi quei Tyrani frammescolati allora con i Refeni, e trasferitisi anch’essi per le vie del Settentrione nella Valtellina a darvi il nome a Tirano? E con ciò resta poco meno che dimostrato, il valorosissimo Quadrio col suo nuovo Sistema intorno ai “Primi Abitatori” di questa nostra parte d’Italia non aver fatto altro, che la verità della nostra Storia, se posso valermi di una frase di Guido Giudice dalle Colonne, “notevolmente gabbando mutare”.

Di quanto nell’Autore riguarda i “Primi” delle altre regioni Italiche, si dirà alcune cose quando dovrò parlare degli Aborigeni, e degli Aurunchi.

 

I Liguri, e gli Umbri Abitatori delle terre Circumpadane, e veri Itali Primi, furono per immediata origine Celti. I Taurisci, Primi anch’essi, furono Germani.

 

Dico dunque cominciando dai Liguri, la più grande delle “Prime” genti Circumpadane, che per le terre Settentrionali si erano inoltrati sino alle nostre Alpi, e che poi sotto il celebre nome di Celti furono conosciuti.

Avrei potuto dire senz’altro che furono Celto-Galli: ma bisogna rispettare il linguaggio di molti antichi: e se così rispettandolo, e usandone, io cominci a dire qualche cosa di ben preciso intorno ai “Primi”, vedrà chi legge, se potrò, come spero, determinare con esattezza, quale delle genti transalpine, che cingevano l’Italia, fosse in realtà gente Celtica nei primi tempi.

Gli Scrittori “dell’incolita” nazione Germanica insegano generalmente, che quando si dice Celtica, s’intende un paese che abbraccia non solamente la Gallia, ma anche tutta la terraferma, che è al settentrione dell’Italia, e che noi per maggior chiarezza diremo sempre Germania, ancorché dai Germani non fosse tutta occupata.

Tentò di provare quest’estensione Cluverio nella “bell’opera”, che scrisse dell’antica Germania, anzi tentò molto di più: e come se l’impresa gli fosse felicissimamente riuscita, tanti Scrittori di quelle parti, le mani giunte levate al cielo, l’hanno seguito, che si può dire della nobilissima nazione Germanica ciò, che l’erudito Wachter dice di quella lingua, cioè che quasi tutte le persone di lettere, che oggi fioriscono in Germania, le danno Celtica origine.

Secondo me non si può sostenere quest’opinione, se si dicesse, che anche nella Germania furono nei tempi più antichi diversi popoli Celtici, o che qui si fossero fermati quando i Celti andavano verso la Gallia, dove la “Provvidenza” li aveva destinati, o pure laggiù spediti in seguito, quando gli stessi Celti nella Gallia si furono stabiliti, non vi sarebbe che opporre; e io altrove dovrò ampiamente provare, che questa è la verità: ma se pretendesi, che le vastissime terre Germaniche fossero anch’esse parte della vera Celtica; che Celti per origine ne fossero i “Primi Abitatori”, o tutti, o almeno per la maggiore parte; che insomma, se la casa di Jafet si divise in quattordici rami fondatori di altrettanti diversi popoli, come pare che accenni Mosè, il ramo, che fondò i Celti, fondasse anche i Germani, questa è una pretesa, che ponderando tutto non ha giusto titolo, che possa legittimarla. (è necessario distinguere la parte di derivazione religiosa dal resto).

E’ vero, che l’Istro, di cui si ha in Plinio “libro” “Ortus, bic Germaniae jugis montis Abnohac” nasceva secondo Erodoto nel paese dei Celti: è vero, che lo storico Eforo dividendo in quattro parti le genti di tutta la terra, quelle, che abitavano verso l’Austro, chiamò Etiopi; quelle, verso Oriente, chiamò Indi; alle settentrionali diede il nome di Sciti; e alle occidentali, fra cui computavano i Germani, non diede se non quello di Celti (di Liguri): è vero di più, che secondo Eforo, e Erodoto, conviene dire che avessero parlato e Timostene, e Eratostene, e tutti gli altri, a cui si era occorso in quelle “età” di parlare di Germania, dandoci Dione per cosa costante, che nei più antichi tempi anche i Germani erano stati compresi sotto il nome di Celti: ma per quanto siano formali queste testimonianze debbo dire per pura verità, che nulla vogliono all’intento. (non vuole accettarle)

Lasciamo che Erodoto non è conforme a se stesso, perché in Melpomene fa nascere l’Istro da una terra Celtica, che era al di là dei Cineri popolo della Lusitania; e in Euterpe, come dimostrano le parole poco fa citate, ne mette le sorgenti in una città Celtica chiamata Pirene, che è un nome per avventura formato, come ne sospetta M. Gibert, o da quello di Prenner, o Brenner montagna delle Alpi Retiche, o da quello di Prygen, uno dei due ruscelli, che fanno il Danubio, o da quello di Feren-bach, città quindi poco lontana: lasciamo, che di Timostene, di Eratostene, e degli altri, che li avevano preceduti, dice Strabone, che delle cose Iberiche, e Celtiche sapevano poco, ma delle Germaniche, e Bastarniche non sapevano nulla: lasciamo tutto questo; deve bastare la sincera confessione di Polibio versatissimo negli scritti dei più vecchi Storici e Geografi, cioè che delle regioni situate verso settentrione fra Barbona,  e il Tanai, e una di esse la Germania, non si aveva ancora a suo tempo la minima cognizione.

Non servono dunque i Germani per la loro Celtica origine le addotte testimonianze, ne nessuna altra anteriore a Polibio, che morì circa centovent’anni prima della nascita di Gesù Cristo.

Il resto, che suole addursi, può con qualche ragione parer più conludente, essendo di un tempo, in cui non si era tanto al buio intorno ai popoli settentrionali.

Ecco. Avevano detto alcuni antichi presso Strabone, che quando furono conosciute le regioni occidentali della Scitia, si diede a tutte quelle genti il nome di Celtosciti, o di Celti; d’Iberi, o di Celtiberi: si dia a questo passo il senso suo naturale, e vuol dire fra le altre cose, che se alcuni popoli Germanici più orientali, quando se ne ebbero più chiare notizie, furono chiamati Celtosciti, tutti gli altri ritennero l’antico nome di Celti.

Arriano, che scrisse circa un secolo e mezzo dopo Strabone, dice, che il Danubio passa fra popoli bellicosi, la maggior parte Celti, fino ai Quadi, e ai Marcomanni inclusivamente, cioè fino al fiume Maro, che entra nel Danubio quasi in faccia a Carnunto città della Pannonia superiore sotto Vindobona.

Appiano Scrittore della medesima età illuminata, nel libro delle cose Illiriche fa gli Illirii, i Celti, e i Galli tre genti diverse; e dai Celti tutti vedono, che non può quindi aver inteso se non Germani.

Dione Cassio, la cui storia arriva sino verso la metà dell’impero di Alessandro Severo, cioè verso l’anno 229, dell’era volgare, quando la Germania era nota poco meno Dell’Italia, insegna nel “libro*”, per tacere di altri luoghi, che il Reno anche al suo tempo separava i Galli dai Celti; e che questa separazione, per cui i Galli restavano alla sinistra del fiume, i Celti alla destra, era cominciata quando si mutò l’antico uso di dare alle genti il nome di Celti.

Zosimo, oltre a chiamare Celtica la città di Carnunto, o come egli dice Carnuto, alcune legioni composte di Norici e di Reti, chiama similmente “legioni Celtiche”.

 Stefano Bizantino ad un’isola del mare Germanico dà il nome “d’isola Celtica”: e secondo Suida per conluderla,  i Celti non erano se non una gente detta Germani.

A queste testimonianze, e a qualche altra, che si potrebbe citare, si aggiunga, dicono, la grandissima conformità, che in molte cose, e singolarmente nel linguaggio, avevano i Germani con i Celti della Gallia, e si avrà una quasi dimostrazione, che anche i Germani furono veri Celti.

Crederei, che non si potesse tacciarmi di poca fedeltà nel riferire le prove, che si vogliono addurre per sostenere, che Celti furono i Germani: ma crederei poi anche di non dover essere reputato troppo stitico e sofistico, se queste prove stimo di poca forza, e di gran lunga insufficienti al bisogno. (i diversi nomi dati ai Celti servivano unicamente a individuare un’appartenenza territoriale o territorio di una nazione abitata da genti celtiche)

Diamo loro una ripassata; e cominciamo dall’ultima.

Si è trovato, non può negarsi che qualche somiglianza aveva la lingua Gallica, di cui nessuno dubita, che non fosse Celtica, con quella degli antichi Germani, sotto il quale nome quì intendo sempre tutti i popoli transalpini, che abitavano la terra settentrionale all’Italia; e di questa somiglianza si ebbe forse il primo indizio da non pochi nomi di popoli, di uomini, di città, di monti, di fiumi, e simili, che si vede essere stati comuni alle due nazioni: si è trovato di più, che in molte qualità del corpo, e dell’animo, in molti riti, usi, e costumi (18) i Galli e i Germani erano somigliantissimi: ma si supponga per ora ciò, che di sopra ho accennato, e che in altro luogo si vedrà essere certissimo, che oltre qualche piccola banda di Celti probabilissimamente fermatasi fra i Germani nel primo passaggio verso la Gallia, altre bande Celtiche molto più numerose, come quelle di Sigoveso ricordate da Livio nel “libro*”, passassero poi dalla Gallia nella Germania.

 A questa supposizione si aggiunga, che quando Cesare andò nella Gallia, erano già quattordici anni, che Ariovisto Re dei Germani vi aveva condotti e stabiliti centoventimila uomini della sua nazione, e poi in seguito da atri ventiquattromila: si aggiunga, che mezzo secolo prima d’Ariovisto si era per ben dieci anni trattenuto nella Gallia un gran numero di Teutoni: si aggiunga, che prima della venuta dei Teutoni erano state condotte nella Gallia Bellica parecchie genti Germaniche, le quali tutte occupavano i luoghi prima tenuti dai Galli: si aggiungano la vicinanza delle due regioni, il commercio, che gli abitanti avevano insieme, e i loro climi in gran parte simili, si vedrà, che la conformità di molte cose Germaniche con le Galliche non è un argomento che basta per dire, che i Germani al pari dei Galli fossero per origine veri Celti.

Ne forza maggiore hanno le addotte autorità di Strabone, di Adriano ecc. anzi, se posso dire quel che sento, non hanno forza nessuna; e sarebbe ormai tempo, che si finisse di metterle fuori, potendo esse facilmente ingannare qualche lettore meno avveduto.

   Si tocca un tasto, che è dei buoni: si vuole a tutto aver l’occhio.

Gli antichi scrittori, che possono citarsi quando si parla dell’origine Celtica dei Germani, sono, mi pare, di tre classi.

La prima è di quelli, che per scrivere delle genti settentrionali altra guida non poterono seguire, se non qualche voce arbitraria, che ne “correa”, o al più qualche scritto meno arbitrario di quelle voci, essendo tali scritti di autori, che erano tutti fioriti quando delle terre transrenane non si aveva ancora tollerabili notizie.

La seconda classe è di quelli, che prima di scrivere furono di persona nel paese, poterono informarsi della verità, e si ha ragione di credere, che di fatto se ne informassero.

Nella terza sono tutti gli altri, che non avendo mai posto piede fra i Germani, e volendo nondimeno darne “contezza”, dovettero seguire quelli, che prima di essi o di saputa, o ignorantemente ne avevano parlato.

Scrittori della prima classe sono i ricordati Erodoto, Eforo, Timostene, Erastotene, e tutti gli altri, che srissero prima che i Romani passassero il Reno, o avessero a che fare con i Trasrenani.

  E se l’erudito M. Pellontier dice, che uno di questi antichissimi Scrittori, cioè Pitea Marsigliese, volendo dire, che aveva girata tutta l’Europa diceva di aver girata tutta la Celtica, e veniva così a chiamare Celti anche i Germani dopo averli conosciuti per altro, che per vane ciance, mi sia permesso di saper riflettere, che le parole “tutta la Celtica” sono state quà intruse dal riverito Monsieur per sempre più insinuare la dottrina di Cluverio, e la sua, che i Celti fossero non solamente i Germani, tutti gli altri Europei.

L’Artifizio è palese; perché Strabone, il solo Scrittore dal medesimo Pelloutier citato, l’espressione di Pitea era, che aveva circa, e dirò “scopata” tutta l’Europa marittima da Cadice sino al Tanai: leggendo il quale testo, bisogna avere buona vista per trovarvi tutta la Celtica.

Gli Scrittori della seconda classe sono Cesare, Plinio, Tacito, e Ammian Marcellino.

 Di Cesare tutti sanno, che trattò con i Germani, che fece loro guerra, che li vinse, che penetrò nel loro paese: e se qualcuno non sapesse quanto fu attento a conoscere quel nuovo mondo, ne veda i “Commentarii”, e veda singolarmente il libro sesto di quelli della Guerra Gallica.

Plinio fu anch’egli per qualche tempo in Germania; e com’era infinitamente avido di sapere, e scrisse bel venti libri delle guerre Germaniche, e della grand’opera della “Istoria Naturale” ha fatto segnatamente la descrizione di quel vasto paese, ed ha parlato di tutti i maggiori popoli, che vi abitavano, si crederà agevolmente, che delle cose settentrionali fu anche di più di Cesare informato.

Tacito fu Procuratore del fisco nella Gallia Bellica, che era, come si è detto piena di genti Germaniche, e scrisse il libro “De situ, moribus, populis Germanorum”, che è un vero tesoro di particolarità in gran parte recondite; e mostra evidentemente, che l’autore seppe dei Germani quanto allora si poteva sapersene.

Marcellino finalmente testifica egli stesso di essere stato in Germania; e l’ha tanto illustrata in più luoghi dalla sua storia, che ha meritato di essere detto da Voffio “di gnus qui ab omibus, ac Germanis precipue, ametur”.

Della terza classe sono tutti gli altri, che scrissero dopo Cesare, che siano favorevoli o contrari ai Germani Celti, cioè Eustazio, Svida, Zofimo, Stefano, Dione, Appiano, Arriano, Strabone ecc., i quali può essere che prima di determinarsi pro, o contro, esaminassero tutto accuratamente, ma può anche essere, che trovando l’articolo non poco astruso, o giudicandolo al loro soggetto poco importante, copiassero senza tante discussioni chi l’uno chi l’altro dei più antichi.

Divisi così gli autori nelle loro classi, e sanno gli “intendimenti”, che la divisione è giustissima, possono i seguaci di Cluverio vedere se sia la verità, che sarebbe ormai tempo di lasciare in pace gli Scrittori in ultimo luogo da essi addotti per la loro opinione.

Tali Scrittori, per ciò che riguarda il nostro punto, sono tutti della terza sospetta classe, e dimostrano di aver seguiti interamente quelli della prima screditatissima, senza alcun riguardo per quelli della seconda, che sola meritava di essere considerata: è palese, che a loro non si deve nessuna fede, e che mostrare ancora d’averne in pregio l’autorità per il fatto di cui si cerca, e citarne le testimonianze, e premere, che si tenga con essi riponendo i Germani fra i veri Celti, sarebbe lo stesso che voler ad occhi “veggenti trappolare altrui, e giuntarlo”.

Riducendosi tutto ai soli autori della seconda classe, Cesare, Plinio, Tacito e Ammian, si dirà mi figuro, e si dirà bene, che di essere, o non essere stati Celti Germani altro non si ha nei quattro Scrittori, salvochè prescinderne essi affatto, e tacerne: parlano cento volte della Germania senza chiamarla mai Celtica, cento dei Germani senza chiamarli mai Celti, che certamente è nobile cosa; ma infine non si legge nei loro scritti una sillaba, che al paese neghi positivamente di essere stato Celtico, agli abitatori essere stati Celti.

Tutto questo è vero quanto mai altra cosa vera: ma non lo è poi meno, che questo scrupoloso totale silenzio, in cui quattro tali Scrittori si accordano perfettamente, se si attendano tutte le circostanze, è prova che stringe forte.

Cesare, e gli altri riferiscono dei Germani infinite minuzie; e per non dissimulare nulla di ciò, che avevano laggiù inteso ne riferiscono alcune, in cui si è poi scoperto, che si erano lasciati ingannare: sembra incredibile, che non avessero almeno toccato l’articolo tanto importante dell’essere stati Celti i Germani, se l’avessero creduto almeno dubbioso, e sentito ne avessero il più leggiero fiato.

 Tacito parlando dei Treveri, e dei Nervii, li taccia di affettazione, e di vanità nell’andare tutto boriando, e burbanzando, che per origine erano Germani, e non Galli, con tutto che abitassero nella Gallia: è impossibile, che uno Scrittore tanto ricco di riflessioni talvolta anche ricercate, non ne avesse fatta una naturalissima sulla indiscrezione di questo vanto, se avesse creduto di potersi pur sospettare, che alle due nazioni si dovesse dare una sola origine, e che i Germani come i Galli fossero Celti.

Cesare, e Marcellino parlano espressamente dell’origine dei Galli; e ne parlano, il primo seguendo la tradizione del paese conservata dai Druidi; il secondo seguendo principalmente Timagene, che aveva scritto con accuratezza delle antichità della Gallia: Tacito parla anch’egli dell’origine dei Germani, e ne parla secondo ciò, che si conteneva nei loro antichi versi, ai quali si riducevano tutte le loro memorie, e i loro annali.

Nei testi dei tre Scrittori non si ha il più piccolo indizio, che i Germani, o che gli uni, e gli altri fossero rami di un solo tronco Gallico, o Germanico. È questa una prova tanto certa di origine diversa, che altra simile non saprei di “leggieri” pensarne.

Sentiamo gli autori. Dice Tacito, e sono quasi le sue parole, “che secondo gli antichi versi dei Germani il principio della nazione era stato Dio; che questo Dio si chiamavaTuistone….; che il figlio di Tuistone era stato Manno; che questo Manno ebbe tre figli; e che da questi tre figli erano venuti i tre popoli, in cui tutto il popolo Germanico si divideva, cioè gli Ingevoni. Gli Erminoni, e gli Istevoni.

Dice Cesare, che tutti i Galli così istruiti dai Druidi si gloriavano di essere discesi da detto Padre.

E in Marcellino fra le altre cose quà non “apparenti” leggiamo, “che secondo alcuni i primi popolatori della Gallia, ovvero i primi fondatori di un popolo nella Gallia, erano stati i Celti….; che(19)  secondo i Druidi una parte del popolo era indigena, (Liguri) ma altra gente era venuta dalle isole di fuori, e dalle regioni trasrenane, cacciata dalle paterne sedi per guerre, e per inondazioni di mare”.

Si mettano questi passi, e si rimettano cento volte all’esame più rigoroso, non si troverà mai cosa, che favorisca in qualche modo la comune immediata origine dei Germani e dei Galli.

Vi è detto, che qualche popolo della Gallia era di sangue Germanico: ciò significano le parole di Ammian, “altra gente era ventuta dalle regioni trasrenane”: anzi dandosi a questa gente trasrenana l’aggiunto, “cacciata dalle paterne sedi per guerre, e inondazioni di mare”, vi sono quasi individuati i Galli Aduatici, che erano in parte Teutoni, cioè quei valorosi Germani, dei quali come dei Cimbri loro compagni ha scritto Floro “libro*” “Cimbri, Theutoni…. quum terras eorum inundasset oceanus, novas sedes toto orbe quaerebant: ma che i Galli in generale fossero per origine gente trasrenana, o fossero Germani, non vi è detto, ne accennato.

Ho dalla mia parte Strabone, che studiò molto sulla Germania, come si può vedere dal libro della “Geografia”, e dopo aver così studiato, che abbia detto in qualche luogo, riferendo i detti altrui, quando parla per proprio sentimento, non solo distingue le cose Germaniche dalle Celtiche, come si è veduto in questo capitolo, ma mette i Germani espressamente al di la dei Celti: è con lui il dottissimo Eustazio, che aveva veduto Stefano, e Dione, e Arriano, e Eforo, e Erastotene, e Erodoto tutti da lui citati, e tutti favorevoli ai Celti Germani; e nondimeno dei Germani dice in un luogo, che abitavano al di là dei Celti, e al di là del Reno verso oriente; e dei Celti dice in un altro, che le loro terre si facevano arrivare sino al Reno.

Ho in mio favore queste formali testimonianze, e sono di molto peso, ma assai più vale il silenzio di Cesare, di Plinio, di Tacito, di Marcellino, massimamente, conviene ripeterlo, che due di essi trattano dell’origine dei Galli, che erano i veri Celti; uno tratta dell’origine dei Germani, che si pretende fossero Celti anch’essi;  e tutti parlano dopo essere stati sul luogo, e avervi la materia, come dimostrano le loro opere, diligentemente studiata.

Stabilito così, che i “Jafetei” transalpini confinati all’Italia dal lato settentrionale, e da noi chiamati Germani, non possono giustamente annoverarsi tra i Celti, viene ad essere stabilito altresì, che i Primi Liguri Circompadani, se per origine furono Celti (errato), furono dunque quei discendenti di “Jafet”, che all’Italia confinavano dalla parte dell’Occidente, e che tutti sanno essere stati i Galli.

Ma perché? hanno alcuni insegnato, (20) che non tutti i Galli furono gente Celtica; e se ciò fosse, potrebbero i nostri Primi Liguri essere stati Galli (certamente i Liguri abitavano la Gallia prima che i Greci e i Romani la chiamassero così) e non "Celti", debbo qui dire per quale ragione io abbia tale dottrina seguita, e reputati veracemente, che la Celtica al pari della Gallia non avesse nei più antichi tempi altri confini, che il Reno, le nostre Alpi occidentali, i due mari, e i Pirenei.

Non mi è ciò necessario, come si vedrà poi: ma per essermi utilissimo a spiegare quante nostre antichità con la lingua, “institutis, legibusque discrepantes”.

Questo dire, che se anticamente le terre Galliche furono attribuite ai (Liguri) Belgi, e ai Celti, e agli Aquilani, come a tre genti diverse nel linguaggio, nelle leggi, negli istituti, ciò si fece unicamente per la poca notizia, che se ne aveva, è insegnare formalmente, che se i Galli fossero stati conosciuti nei tempi antichi, quando si conoscevano al tempo dello Scrittore, comunque in tre parti fossero divisi, si sarebbero riguardati come un solo tutto, e come (21) una gente sola, e si sarebbe detto, che le loro lingue, e le loro maniere di vivere, e di governarsi, se non erano le medesime in qualche accidente, lo erano nella sostanza.

Il P. Arduino condanna siccome ardita questa proposizione di Ammian, credendola forse contraria a quanto poco fa hanno detto Cesare, e Strabone singolarmente delle tre lingue, che i Galli parlavano: ma se la condanna non ha maggior fondamento, non ardirei di confermarla, potendosi vedere dalle parole medesime di Strabone, le quali possono servire di commento a quelle di Cesare, che la diversità delle tre lingue galliche non era se non diversità di dialetti; e dai diversi dialetti non si è mai creduto di poter inserire diversità di nazione.

Che poi la sola gente, a cui si riducevano tutti gli antichi Galli, fosse la Celtica, l’abbiamo dallo stesso Marcellino, e dal suo maestro Timagene nel passo citato all’articolo antecedente, dove si dice Aborigines primos in his regionibus quidam visos esse firmarunt Celtas”, dovendosi ragionare di questi Primi Aborigeni della Gallia, come si fa per quelli del  Lazio: così quelli della Gallia, cioè i Celti, ma di quelli ancora, che furono chiamati Belgi, e Aquilani.

Hanno conosciuta questa verità altri Scrittori antichi.

Strabone medesimo, che pare a noi più contrario di tutti gli altri, ci è a mio avviso favorevolissimo: perché avendo detto in un luogo, che secondo lui avevano i Greci dato a tutti i Galati il nome di Celti per chiarezza, e celebrità di quelli della Narbonese, che è quanto dire, i Galati almeno Belgi, ed Aquilani essere stati Celti, non per naturale diritto, che avessero a quel nome, ma per sola estrinseca partecipazione, che qui nulla opera, fa poi in altro luogo una specie di ritrattazione, e un certo modo “disdicesi”, affermando quello stesso che affermiamo noi.

Riferiamone le parole, e spieghiamole debitamente. Tutta questa nazione, egli dice dopo aver parlato dei popoli della Narbonese, dell’Aquitania, della Lionese, e della Bellica, “che al presente si chiama Gallia, e Galattica, è oltre modo bellicosa, feroce ecc.” sicche i popoli delle quattro provincie, in cui era divisa tutta la Gallia, formavano secondo il Geografo una nazion sola”: non la formavano in rispetto allo stato politico, che secondo l’autore medesimo era anzi in ciascuna provincia molto diverso, come sopra si disse; (22) la formavano dunque in   all’originerispetto allo stato fisico e naturale, in rispetto al sangue, e all'origine.

(23)  E quale nazione formavano essi? Quella, “che al presente si chiama Gallica, e Galattica”; le quali parole non potendosi intendere da un’appellazione arbitraria e introdotta senza cognizione di causa, perché di questa non poteva ignorare il Geografo, che non era cosa del suo tempo, “al presente”, ma assai più antica, intendere si devono “d’appellazione” fondata sul vero essere di tutti quei popoli, cioè sull’essere tutti veri Galli, e veri Galati, che è quanto dire veri Celti, come ha veduto anche l’autore dell’Epitome di Strabone conosciuta sotto il nome di “Cestomazie”, il quale dice, “quod unoversa haec natio, quae nune Celtica o Galattica, o Galattica appellatur”.

Della dottrina del nostro Geografo intorno l’essere Celtico di tutti i Galli io penso così: che abbia egli nondimeno parlato dubbiosamente, gli altri, che abbiamo addotti, e che parlano con molta chiarezza, rendono poco meno che certissimo, tutti i Galli essere stati Celti.

Di questi celebratissimi Celti resta ancora da vedere quale gente fossero, cioè a quale delle famiglie “Jafetee”  appartenessero essi, e facessero appartenere i nostri primi Liguri Circompadani (a nessuna di queste famiglie): e se ciò potremo in qualche modo risolvere, mettendo in una luce sempre maggiore la vera storia d’Italia.

Noi intanto facciamo ritorno alle terre Circumpadane, e dopo aver mostrato, che i Celti probabilmente vennero da “Jafet per Gomer”, e che i nostri “Primi” Liguri non ebbero altra mediata origine, se è vero, che l’immediata fosse dai Celti, (falso) entriamo ora a parlare di questo.

Il primo, che dell’origine dei nostri Liguri abbia qualche cosa accennata, è forse Polibio, dove parlando dei Barbari, che tenevano quella parte delle nostre Alpi occidentali, che riguarda l’Italia, dice che

(24) non per la loro origine, e per loro lignaggio”, ma unicamente per i luoghi, che occupavano, dai Galli transalpini erano diversi: tutti i Barbari, che dal mare sino ai Salassi tenevano, erano Liguri, come nel capitolo antecedente si disse; ne segue che per origine, e per lignaggio non fossero dunque diversi dai Galli i nostri Liguri.

Dopo Polibio viene l’Alicarnasseo.

25) Egli insegna, che della nazione Ligustica, padrona di una parte molto considerabile dell’Italia, e di qualche parte della Celtica, non si sapeva ancora al suo tempo, quale delle due regioni ne fosse stata la patria: questo è insegnare, che i Liguri Italici, e i Liguri transalpini, quale che di essi fosse il tronco dell’altro, erano la medesima pianta, avevano una sola radice, erano per origine la medesima, gente i Liguri Transalpini che occupavano una parte della Narbonese, erano Celti (errato), come si è veduto, e si vedrà anche meglio fra poco: erano dunque i Celti anche i Liguri Italici (errato).

Pare contrario Strabone, il quale le ricordate Alpi, che abbiamo all’Occidente, dice abitate da popoli tutti Celtici, eccetto i Liguri, che erano altra gente, e vissero alla Celtica (o il contrario): ma non contraddirà agli storici il Geografo ove si dica, che per altra gente non intende se non gente di altro corpo politico: e si vuole dire per ogni modo, che ciò intendesse, non dovendosi mettere in contraddizione fra i detti dei grandi Scrittori senza un’aperta necessità, della quale certissimamente qui non vi è ombra.

 E se Polibio, e in Dionisio non apparisse deciso abbastanza, che i Liguri Italici furono della Celtica, non per ciò siamo costretti a rimanerci ancora su questo punto così “intra due”, togliendo ogni “dubbietà” quanto stò per dire.  

Narra Plutarco in Mario, che trentamila Ambroni si erano uniti con i Cimbri, e che sul punto di attaccare i Romani, o pretendessero di animare se stessi, o volessero atterrire i nemici, non finivano di ripetere con grande schiamazzo il proprio nome (26) (Ambroni): narra di più, che i Liguri Italici militanti con Mario alle grida dei transalpini risposero similmente gridando, che Ambroni era anche il loro nome paterno: e narra infine, che Ambroni effettivamente chiamavano sestessi i Liguri Italici, qualora il nome volessero usare, che avevano ricevuto di mano in mano dai loro ascendenti.

Degli Ambroni abbiamo in Festo, “Ambrones fuerunt gens quaedam Gallica; (come si è visto non tutti i Galli furono Celti, ma “Liguri”) e dicendo Eutropio, che i Cimbri, i Teutoni, i Tigurini, e gli Ambroni erano “Germanorum o Gallorum gentes”, ha già altri veduto, che “Germanorum” riguarda i Teutoni, e i Cimbri, “Gallorum” gli Ambroni, e i Tigurini.

La conseguenza viene per se medesima, ed è che i nostri Liguri non furono dunque per origine Celti.

Secondo Wachter è assai bene provato nella “Cronica Gotwicese”, che gli Ambroni compagni dei lunghi viaggi, e delle grandi imprese dei Cimbri, erano di schiatta Massonica, e che la loro patria era stata “Amron o Ambron” isola della Danimarca: della bontà però di tali prove io dubito molto; perché riandando in quello che dei Cimbri hanno scritto gli antichi, ho ben trovato, che delle loro peregrinazioni ebbero compagni i Teutoni, ma non ho potuto trovare, che fuori dalla Gallia avessero con loro gli Ambroni.

E non dice neppure Festo, che è il solo creduto a ciò favorevole, e che sebbene applica per errore agli Ambroni ciò, che anche dei Cimbri si era detto “inepte”,  come parla Strabone, e li fa però uscire dalle loro terre “subita inundatione maris”, insegna ciò nonostante, che poco fa si è veduto, che erano Galli, e non isolani venuti dall’oceano boreale.

27) Ai “Primi” Circumpadani, che si chiamarono Liguri, devono succedere quelli chiamati Umbri, Ombri, e Ombrici, “postati” nelle Alpi vicino al Lario, e poi dilatatisi, come si disse: ma questo è gioco di pochissime tavole, mentre appena può dubitarsi, che la loro origine non fosse la medesima con quella dei Liguri.

Ambroni certamente, e Ombri sono lo stesso nome, perché sia un poco alterato dal cambiamento dell’A in O, che è frequentissimo; e da quella desinenza, che non è raro, come si può vedere nei Bigerroni di Cesare, che sono i Bigerri di Plinio; nei Lugioni di Zosimo, che sono i Lugi di Tacito; nei Frizioni di Paolo Diacono, che sono i Frisii di Dione ecc.,

Ed è notabile, che nel paese dei Caturigi, popolo, siccome si disse, nato dagli Isomeri, che erano dagli Ombri del Lario, si trova una città anche oggi chiamata Ambrun.

Di questo nome può parere, che sia l’Eberoduno dei Greci, e dei Latini, guastato dai Galli: ma è probabilissimo, che sia anzi il vero e primo nome della Città trasformato poi dai Latini o dai Greci, e dai Galli conservato sempre nell’antica sua forma: essendo verissimo, che certi vocaboli, e certi modi di pronunziarli, i quali appaiono moderni e nati dalla corruzione del Greco, e del Latino, non sono se non vocaboli, e modi antichi dal popolo conservati, o rinnovati: “di chè” si veda la sesta delle “lettere Gualsondiane” di Clemente Bini, cioè dell’eruditissimo Sig. Lami.

 E se ciò si verifica di Ambrun, come lo persuade la notizia, che si ha altronde dell’essere i Caturigi nati da un popolo, che originariamente era dagli Umbri del Lario, resta sempre più confermato, (28) che tali Umbri erano Ambroni. (quindi Liguri)

Né questa origine, per dire anche ciò, debbono vergognarsi essi, o gli illustri popoli, che da essi uscirono; nonostante al tempo di Festo perso avesse piede, “us turpis vitae homines Ambrones dicerentur”.

Di siffatte memorie oltraggiose sono pieni gli sritti dei Romani, quando parlano dei loro nemici, o rivali; e grandi lamenti si leggono per ciò che molti libri “d’oltre monti”: ma dalle ingiurie non ricevono scapito se non gli Autori; e gli Ambroni per la loro parte presso chiunque sia informato saranno sempre un popolo glorioso e memorando.

Non si considerino le buffe, che anche essi diedero presso il Rodano a Manilo, e a Copione, come si legge in Eutropio, e in Orofio: non si consideri, che se non “esrno” Marsigliese, battevano forte più che di piatto anche il grande “ario”, come si ha in Strabone: non si calcolino neppure i loro progressi nella Narbonese, dove la tavola Peutingeriana mette all’occidente delle Acque Sestie un tratto chiamato Umbranicia, o sia Ambronicia; e dov’era quel popolo, che da Plinio si chiama Umbranici sia Ambronici,, che alcuni dire dovevano in vece di Ambroni, come in vece di Ombri si diceva Ombrici; anche senza questo sarà sempre ammirabile popolo, che prima di ogni altro affrontò le nostre Alpi, e poi il nostro Appennino; che diviso in due primari rami, Liguri, e Umbri, ne superò gli erti e spaventevoli gioghi; e che al piano stendendosi, quando lo permettevano le paludi, di quasi tutte le terre, che attorniavano il Po’, si rese sotto vari nomi padrone.

E’ molto incerto se Ambroni nei “Primi” tempi significasse un popolo particolare, comme avvenne poi, quando sotto quel nome s’intendeva non una comunità di Celti; o pure significasse tutta la nazione Celtica.  (Ambroni da Ambra)

Io piego a questo secondo, parendomi facilissimo, che Numeri, Cumri, Cumbri, nome originario dei Celti, si formasse per aferesi Umbri, si è già detto che Umbri e Ambroni sono lo stesso nome.

Dal mio pensiero non è lontano il Sign. Gibert nel già citato bel “saggio di Dissertazione sopra l’Origine dè Galli”: dove, sebbene crede, che gli Ambroni, fossero dai Liguri, e lo crede secondo me falsamente, (giustamente) e contro la poco fa citata autorità espressissima di Plutarco, alla quale nessun’altra se ne può opporre, riconosce nondimeno, che la prima gente, da cui la Gallia fu popolata, è quella degli Ambroni, Umbri, o Umbranici, che anche per lui non sono tre nomi, ma uno solo alquanto di sfigurato.

E poi osservo, che lo stesso Plutarco non fa combattere nella guerra Cimbrica contro i Romani se non i Cimbri, i Teutoni, e gli Ambroni, quando è certo, che vi combatterono anche i Figurini, e i Tugeni: sarebbe mai, che avesse lette memorie, in cui Ambroni significasse Galli in generale, e però comprendesse i due tralasciati popoli della Gallia? Di quest’ampio significato del gloriosissimo nome Ambroni sia quel che si vuole: fosse anche nei primi tempi ristretto a significare il solo popolo Celtico, che lo portava all’età di Mario, per me non menta, e gli Umbri del Lario, che erano per origine Ambroni, (Liguri) saranno sempre stati veri Celti, com’era da provarsi.

Restano i Taurifei, che ebbero di sopra il terzo luogo fra i “Primi” Circumpadani, e che trovammo col loro nome, e con quello di Norici sopra Aquileja; sotto i nomi di Leponzii, e di Salassi alle Alpi Pennine, e Graje; e sotto quello dei Reti fra il Norico, e i Leponzii.

Di questa gente non ho testo, che dica formalmente quando pressappoco entrarono in Italia, e quale fosse la loro origine; credo ciò nonostante essere verissime queste due cose: che entrassero prima del Diluvio di Deucalione; (è dubbio) e che per origine fossero Germani.

Dell’una e dell’altra con la maggiore brevità.

Che la Germania avanti l’età di Deucalione fosse abitata, lo reputo certo.

Aveva allora sue genti la Gallia (queste genti erano Liguri), e se le aveva, che potè dare all’Italia i Liguri,  e gli Umbri del Lario: deve molto più averle avute la Germania, provincia tanto meno discosta dal centro della “dispersione degli uomini”, supposto, come qui facciamo, che prima di Deucalione non si navigasse.

Ha detto Aben-Ezra, che i Germani furono Cananei scappati dal oro paese per paura degli Israeliti: Ha fatti anche meno antichi i Germani Wachter.

Tutto questo può essere avvenuto: ma che non avvenisse; che anzi moralmente parlando non potesse quasi avvenire, ci costringono a dirlo i disagi non accidentali, ne passeggeri di quel rigido cielo, e la naturale intrepidenza della nazione, e, aggiungiamo, i molti esempi, che nelle età posteriori diedero i Cimbri, i Giutunghi, i Quadi, i Marcomanni, i Goti, i Longobardi, e altri ancora.

Le colonie, che allora vennero dalla Germania, verosimilmente saranno state parecchie, l’uno in certi casi mutandosi tosto in primo per altro, che sopravviene; e l’altro, che è secondo, tirando ben presto il terzo, e così proseguendo: più d’una sarà anche dai monti discesa al piano: sia nondimeno che quelle colonie trovandosi bene accolte dalle nostre prime genti Ligustiche, e Umbriche di questa parte, loro si unissero spontaneamente; sia, che dopo essersi qua, e la stabilite separatamente, e aver formate per tutto il paese loro proprie comunità, fossero vinte in progresso, e incorporate ai vincitori; sia, che essendo i loro stabilimenti poco riguardevoli, e per numero, e per forze molto inferiori a quelle degli altri, le antiche memorie con quelli dei Liguri, e dei nostri Umbri li abbiamo disgraziatamente confusi, e sotto i loro nomi compresi, è certo, che di uno solo dei più antichi popoli Circumpadani, ed è quello dei Taurisci, non ha potuto il tempo far perdere la notizia, che per origine fosse dalla Germania.

Si ha questo bel lume da un passo di Livio, in cui parlando delle strade, che dall’Italia conducevano al Pennino, oggi il Gran S. Bernardo, e passavano per le terre dei Leponzii, e dei Salassii, si dice, che se Annibale vi si fosse imbarcato, le avrebbe trovate da ogni parte cinte “gentibus semigermanis”.

Questo semigermanis vale secondo me assai più, che non pare; e il suo valore consiste in questo.

I Leponzii, e i Salassii, che attorniavano quelle strade, erano gente per metà Germaniche, ed è quanto dire, erano Germani, con cui altra gente era confusa; lo insegna Livio: Germani adunque, conludo io, erano i Taurisci , avendo sopra insegnato Catone, che i Taurisci erano o Salassii, e i Leponzii.

Né buon “discanso” sarebbe dire con Dujazio, che semigermanis fu qui usato da Livio non per maestrare veruno intorno l’origine delle genti, di cui parlava, ma unicamente per esprimere la loro fierezza.

Questa dottrina è tutta fondata sopra una falsa supposizione; la quale è nel testo si parla dei Veratri,, e di altri vicini popoli della Gallia anch’essi, e di origine Gallica.

Se ciò fosse, non sarebbe improbabile l’interpretazione del commentatore; e di genti abitanti nella Gallia, e nate dai Galli non senza ragione si direbbe, che semigermane le chiamò Livio, “quod seritate morum parum a Germanis differrent”: ma dal testo medesimo è evidente, che non vi si parla di Galli per “veruno” conto.

Dice lo Storico “libro*”, “nec verisimile est, ea sum ad Galliam patuisse itinera”: parla dunque di quei luoghi Italici, dai quali soli potevano in quelle parti muovere strade, che portassero nella Gallia.

Aggiunge subito, “utique quae ad Peninum ferunt, obsepta gentibus semigermanis fuissent”: parla dunque dei nostri Leponzii, e Salassii, per le cui terre è certissimo, che dall’Italia si montava al Pennino; per le terre dei Leponzii da chi voleva accorciare la via; e per quelle dei Salassii da chi non si aggravava di pigliarla alquanto più lunga.

E se Livio parla, com’è in effetti dei Leponzii, e dei Salassii, che né per origine, ne per luoghi, dove abitavano, eran Galli, già sul falso ha lavorato Dujazio; già svanisce la ragione unica, per cui ha creduto di dover fare violenza all’aggiunto “semigermanis”; già quest’aggiunto riacquista il suo proprio significato; e già Livio insegna, che i Leponzii, e i Salassii, conseguentemente i Taurisci, erano Germani, con cui altra gente si era mischiata. (ai Liguri)

Si vorrà, che la fierezza sia qui necessaria all’intendimento di Livio, che era di far comprendere la quasi impossibilità di calare in Italia per le Alpi di quella parte: ma perché mai in vece della “fierezza” non mettere il “valore”, da cui si avrebbe lo stesso effetto, e si avrebbe senz’aggravio di un’intera nazione? E se nel caso qualche cervello balsano  reputasse insufficiente un valore, che non fosse anche fierezza, o bestialità, e di siffatto bestiale valore supporre volesse per sua gentilezza, che secondo Livio fosse qualità propria dell’antica nazione Germanica perché mai non dire per questo stesso, che l’autore ha fatti i Leponzii, e i Salassii per origine Germani, mentre così appunto direbbe, sempre cortesissimamente, che li ha fatti per origine, e per natura tanto fiere, e tante bestie? Si voglia, o non si voglia, nel famoso “Semigermanis” abbiamo una chiara e autorevolissima testimonianza, che Germani furono i Taurisci: e questo doveva provarsi.

Potessi provare del pari, che da tale, a tal’altro popolo della Germania si staccassero le prime colonie sotto il nome di Taurisci stabilitisi in Italia; e che a questa nostra gente Germanica apparetenesse Tirano Taurisco, che infestò già le Gallie, e secondo le novelle dei Greci fu vinto dal loro Ercole.

Di costui è facilissimo, che non contento delle sue Alpi, se ne scendesse verso Occidente, o mezzodì, e nella Gallia fondasse un popolo del suo nome, massimamente che di Aurisci dalla Gallia andati nella Pannonia parla Strabone, senza dire però se andassero spontaneamente, o pure se espulsi come si sospetta per la loro origine dai Germani, con i quali i Galli erano spesso in guerra: ma queste non sono prove, appena giungono ad essere congetture.

Qualche cosa di più si può dire del particolare popolo Germanico, cui debbe l’Italia i Taurisci tanto Norici, quanto Reti, Leponzii e Salassii, che nessuno vorrà negare essere tutti la medesima gente.

 Il primo che ci dia una mano in questo passo, è Polibio,  il quale dicendo che i Taurisci erano Norici viene a dire altresì che erano di quel chiaro popolo, a cui fra le Alpi e il Danubio appartenne già tutto il tratto chiamato da Vellejo, e da Svetonio Regno Norico.

Quest’origine è indicata anche da Plinio, dove per città Taurisca riconosc la Noreja Italica, al suo tempo distrutta, e per sino con quel nome additante i norici: e se mai apparisse indebolito l’indizio delle parole Pliniane in altro luogo citate, “quodam Taurisci appellati, nunc Norici”, è da dire per la conciliazione dei testi, che Norici non sostituito a Taurisci se non per far rifiorire il più antico e primo nome portato già dalla Nazione al di là delle Alpi.

Aggiungesi infine, che Strabone insegna, come Polibio, dei Taurisci che erano gente Norica, erano anche gente Germanica.

Lo dice chiaramente il loro nome: ma essendo la lingua ad un’altra opera riservata, dirò qui che lo insegna Tacito, dove dalla vera Germania distingue bensì le Gallie, leRezie, le Pannonie, e in qualche modo la Sarmazia, ma non il Regno Norico.

Dai "Galli"(Ambroni) vennero i nostri Primi Liguri e Umbri del Lario: dai Germani i nostri Primi Taurisci.


SECONDA PARTE


Mio principale intendimento era quello di raccogliere in quest’Opera quante più notizie io potessi intorno all’origine dei “Primi Abitatori dell’Italia”; il che ho fin’ora eseguito nel ragionare dei Liguri, degli Umbri del Lario, e dei Taurisci.

Si è veduto (errando) che i nostri “Primi” nacquero immediatamente dai Celti, e dai Germani: queste due nazioni, come anche sopra fu accennato, erano molto simili fra loro; ed è tanto vero, che si giunge a credere che i Germani fratelli dei Celti,  e a derivarne da ciò il nome: tanta somiglianza, che durava ancora al tempo dei Romani, quando nelle cose dei Celti molitissime alterazioni avevano fatte gli stranieri, sa assai conoscere quale fosse stata avanti che i Focesi, o altrettanti avventurieri nella Gallia avessero posto piede: e se Strabone per giustificare quanto aveva detto dei Celti antichi si appellò alle consuetudini Germaniche del suo tempo, adoperò savissimamente; perché da una parte fra i popoli al di là del Reno “minime aliarum gentium adventibus, o hospitiis mixtosgli antichi usi, e costumi non poco del nativo essere ritenevano ancora; e d’altra parte la grande loro somiglianza con i Celti faceva giustamente presumere, che quali essi erano in rispetto a certi punti, tali anche i Celti, fossero già stati. (entrambi dai Liguri)

Per tutte queste cose pare certo, che ai nostri “Primi” debbiasi attribuire quanto dei “Primi” Celti, e dei “Primi” Germani si ha negli antichi.

Questa distinzione ho io con ogni studio cercato di fare, da ciò, che dicono gli Scrittori, scegliendo quello, che pare convenirsi anche ai primi tempi, e alla rozzezza, e semplicità, che allora regnava: alle cose dei Celti, e dei Germani ho aggiunte talvolta quelle dei Britanni, essendo quasi certo, che quell’illustre nazione per prima origine fosse Celtica.

Supposte dunque le cose finora dette, mi è parso che intorno ai “Primi Circumpadani” (Liguri)si possono avere in conto di certe e sicure le seguenti poche notizie.

Furono uomini di eminente corporatura, di carnagione bianca e molle, e le lunghe chiome aventi bionde o limonate.

Avevano acuto ingegno, indole niente maliziosa, molto aperta e sincera, e molto docile.

Si cibavano non di ghiande, come i buoni antichi Arcadi presso Pausania, e come alcuni montaneschi dell’ultima Spagna al tempo di Strabone, ma di erbaggi, di radici, di pomiselvatici, di latte, e di cacciagione principalmente, bevendo semplice acqua, cui credo non potersi aggiungere se non tardi o acqua similmente, in cui “favomele” fosse stato lavato, o certo liquore, che si disse Zith, e si faceva con grano prima macerato, quindi seccato al sole, e ridotto in polvere, poi messo in acqua, e fermentato; del quale si possono vedere Plinio, Orofio, e Isidoro.

La loro nudità coprivano in parte con scorze di alberi, o con pelli di animali, delle quali si facevano sago, usavano di appuntarle con una spina, o con altro fermaglio: e tutte le loro ornature consistevano in armille, cioè cerchietti per il collo, e per le braccia, quando, io mi figuro, di sottile cuoio, quando di qualche tessuto d’erbe, o di cortecce.

I fanciulli appena nati si tuffavano dai genitori nelle acque delle correnti per addurarli: li allevavano come bestiole senza disciplina alcuna,  e liberissimi di fare quanto a loro piacesse: dovevano però con le madri fare gli uffizii domestici, e singolarmente servire alla famiglia, mentre queste cenava sedendo sopra pelli in terra distese, e intorno al focolare, dove giravano gli spiedi delle vivande.

Questi spiedi non piacerebbero a Bruyerin citato presso Menage: ma io mi attengo  a Strabone.

Su i figli diritto di vita, e di morte avevano i genitori, come sulle mogli l’avevano i mariti.

Prima dei vent’anni non potevano senza biasimo menar moglie, e se più disserivano, erano più stimati.

Non pigliavano forestiere: e v’era in gran credito la monogamia.

Per quelli che non abitavano nelle caverne, o negli alberi, le case, le capanne, i tugurii per lo più quà e la dispersi, erano un lavorio mal compasto di tronchi, e di graticci in qualche parte impiastrati con loto, e lavorio di figura rotonda, che finiva in col miglio coperto di canne, di secche erbe, e di foglie, per cagione delle pioggie, e delle nevi.

Le masserizie, e gli ornamenti si riducevano a poco più, che a pelli, e mucchi di fieno, su cui dormire, agli strumenti delle loro cacce, e a fiere cacciando uccise, le quali appiccavano all’ingresso.

Dividevano il tempo non per giorni, ma per notti; l’anno in tre sole stagioni, primavera, estate, inverno; e i cadaveri dei morti bruciavano con le loro cose più care.

Vere città non avevano, ma solamente “qualche vico”; e questi vici erano un aggregato di abitazioni, non congiunte tra loro, ma che avevano ciascuna il suo spazio intorno per “ischifare” i grandi incendi, e aggregato aperto per lo più, e senza difesa, ma talvolta anche chiuso per siepi, fosse, argini, e tronchi di alberi contro le fiere, e le inondazioni.

Nel loro governo, quando per usare un’espressione, che non deve parere eccedente, passò dall’essere paterno ad essere eroico, avevano un Capo, o Principe, o Re, che li reggeva; ma tale carica non era né ereditaria né perpetua, eleggendosi dal “Comune” ciascuno chi doveva presiedere: e tutti insieme spedivano le colonie, vegliavano al mantenimento, non delle leggi, che ancora non  avevano, ma degli usi più importanti della nazione, quali erano, oltre alcune cose dette, che al Capo somministrassero gli altri ciò che gli era necessario a sostenere il suo grado; che nessuno contestare potesse, ma eredi dei padri fossero i figli, e in mancanza di questi i più congiunti di sangue; e che nessun privato terre avesse, che fossero sue proprie, di modo che tutti i concittadini dovessero considerarsi poco meno che eguali, e tolte le liti, e le gare “cittadinesche” vivere potessero in pace, e meglio tenersi uniti contro gli estranei.

Finalmente quando concordi nelle loro famiglie, e comunanze, altrettanto erano fedeli, ospitali, e oltre ogni credere dati alla religione.

Della quale religione, per terminare con essa, dirò questo solo, che i principali articoli erano la loro origine da Dio, della quale sopra si disse; una vita avenire fondata sull’immortalità dell’anima; e la credenza di un solo supremo essere, o Dio, che regnava sopra tutte le cose, del quale non volevano ne templi, ne altari, ne statue, ne altra immagine artificiale, ma gli davano culto, e gli facevano delle offerte, e sacrifici principalmente nella parte più segreta e più spaventevole dei boschi, e presso le querce singolarmente, in cui la loro opinione era, che facesse la sua particolare residenza; e con nomi lo appellavano, che non erano diversi se non per i diversi oggetti, ai quali la Divinità riferivano, come si vedrà in parte fra poco, e in parte nell’altra opera maggiore.

E se per non caricare le pagine di troppi testi, pochi ne ho addotti riguardanti i Britanni, potrà chi vuole vederne molti nella “Storia de’Celti” di M. Pelloutier, “avvegnachè” non vi sia sempre da fidarsi di lui; come quando a provare, che anche gli Iberi, (non Iberi ma Liguri dell’Iberia) i quali per esso erano Celti, avevano le chiome rosseggianti, cita come di Silio “Hispanus comam rutilus”.

Nel poeta non è la parola “Hispanus”, che potrebbe significare la nazione tutta, ma “Eurytus”, nome di uno Spagnoletto particolare, il quale nei giochi dati da Scipione vinse tutti nella corsa a piedi: e da costui “comam rutilus” tanto “s’inserisce”, che tali fossero gli altri della nazione, quanto dal suo fulgore nivali corpis“s’inserirebbe”, che bianchi come la neve fossero gli Spagnoli comunemente. Il luogo di Silio è questo: Compadano.

E mi persuado ancora di più di non essermi opposto male, per aver osservato scorrendo le poche memorie lasciateci dagli antichi, dove dei popoli Circumpadani parlavano espressamente, che sebbene mutazioni grandissime in tali popoli si trovano che siano avvenute, molto nondimeno ad onta del tempo, e delle altre cagioni, che le umane cose sogliono alterare, durò fra essi intatto per lungo tempo.

(29) Cigno, per addirne qualche esempio, Re dei Liguri Circumpadani in generale, Veleno Re dei Liguri Euganei in particolare, mostrano, che in effetti nel governo Ligustico vi erano dei Principi: la favola del Primo Ligure, e Primo Italo Mares più volte resuscitato, suppone il dogma dell’immortalità dell’anima: da ciò, che abbiamo in Lucano (libro*) “Et nunc tonse Ligur, quodam per colla decora Crinibus effusis toti praelate Comatae”, si vede chiarissimamente, che portatori di lunga chioma non erano i soli Liguri detti dai Latini Capillati per antonomasia, o forse perché nei tempi antichi erano gli unici, che ritenessero l’antico uso: Floro negl’Insubri, che erano un misto di Umbri, e di Galli Bellovesiani, Polibio in tutti i Galli Cisalpini, fra i quali vi erano molti popoli Ligustici, li riconoscono alti e con dei bei corpi: l’acutezza dell’ingegno è pregio, che i Liguri non hanno giammai perduto: il loro sago, il loro zith, l’uso del cacciare, del cibarsi di latte, di erbaggi, e di carni “d’ogni” maniera, come pure quello di lavare i fanciulli appena nati in acqua fredda, sono ricordati da Diodoro, da Strabone, da Aristotele, da Posidonio, e da Eustazio: e se Ovidio attribuisce loro Città sino al tempo del Re Cigno, e Città grandi, nam Ligurum populos, o magnas rexerat urbes”, si vede che questo è ingrandimento poetico; perché Strabone insegna, che le loro abitazioni erano “vici”, Diodoro, che erano per lo più spelonche; e da Marco Tullio in Bruto, parlando dei trionfi “menati” dai Romani per le imprese fatte nella Liguria ben tredici secoli dopo Cigno, li chiama “triumpohos castellanos”, indicando, che sole castella fossero nella regione ancora in età tanto a noi più vicina, che non la prima.

A queste si potrebbero aggiungere parecchie altre cose per giustificare sempre più il detto di Strabone, che i Liguri vivevano alla maniera dei Galli; (o viceversa) ma anche queste poche sono superflue.

I “Primi Circumpadani”, che erano tutti Liguri, o Umbri, o Taurisci, vennero immediatamente dai dai Celti, o dai Germani (errato): divenissero quel che si vuole nei susseguenti tempi, tutto ciò, che una gente suole ereditare dai suoi padri, e con se portare in una terra disabitata, vale a dire qualità del corpo, indole, e costumi dell’animo, consuetudini, riti, credenze, tutto in essi fu Celtico, o Germanico. (Ligure)

A ciò che dalle terre Celtiche, e Germaniche recarono in Italia i nostri “Primi”, si vuole ora aggiungere qualche cosa di ciò, che non dovettero se non a se stessi, e che pare essere stato frutto della loro industria sola: si rischiareranno sempre meglio le prime antichità del paese Circumpadano avvolte sino ad ora in tante tenebre.

Ho detto di sopra, che (30)  Mares fondatore dei Liguri Marici nelle vicinanze del Tanaro, della Scrivia, e della Trebbia, e condottiero della prima colonia, che in Italia ponesse piede, fu per avviso di Eliano il primo, che montasse a cavallo: e realmente spiegazione migliore non si può dare a ciò, che quel Primo Italo diceva la favola; ma non ho poi detto, che a noi Italiani fra tutte le nazioni almeno Europee spetta per ciò una lode, a cui di poter pretendere non abbiamo mai pensato, e che dai nostri Scrittori medesimi più autorevoli si vede ai Greci troppo bonariamente lasciata.

Delle altre genti Europee non occorre parlare; nessuno ha memorie di cavaliere, il quale, se si “risguardi” l’antichità, possa correre o lancia, o asta col nostro Mares: per quanto riguarda i Celti, e i Germani, pare, che si siano accordati per riconoscere da lui i principi del cavalcare: (ecco un’indizio importante sulla “primazia” di una gente sulle altre) di che per mio avviso sono buon testimoni le antichissime voci Mare, e Mark usate da quelle genti per significare cavallo, come vedremo; e verosimilmente furono prese dal nome del primo, che osò assoggettarlo, e per mezzo dei suoi vicini avrà l’arte trasmessa al di là delle Alpi.

E non è da omettere, che Mares afferma Eliano non solamente, che montò a cavallo, ma che il cavallo frenò; circostanza, per cui nostra in parte diviene anche la lode, che Virgilio da ai Lapiti di Peletronio, “Fraena Pelethronii lapithae, dyrosque dedere Imposto dorso, asque equitem docuere sub armis Insulare solo, o gressus glomerate superbos”.

Dal freno usato da Mares pretenderà taluno potersi inserire, che qui fossero allora e fabbri, e fucine, e ferriere, o cave di altri metalli: ma probabilmente in quei principi non si frenò il cavallo, se non con un semplice cavezzone di strambe, o di vimini rozzamente lavorato.

Aggiungerò ben due cose, che mi paiono da non lasciare.

La prima, che volendosi per “innanzi discorrere” del cavalcare degli antichi, come ha fatto con lode M. Freret, non si ometta più il nostro Mares, che è senza dubbio il primo cavalcatore Europeo, di cui sia rimasta memoria.

La seconda, che essendosi fino ad ora creduto, la maggiore gloria di questa nostra parte d’Italia, quanto è ai cavalli, essere venuta dalle razze Traspadane della Venezia, dove puledri per le sue traeva Dionisio tiranno di Siracusa, si sappia in avvenire, che gloria molto maggiore è ai Liguri Cispadani dovuta, fra i quali più di dieci secoli prima di Dionisio regnasse, si era già il cavallo ridotto a portare l’uomo.

All’arte di cavalcare faremo ora succedere la Musica; facoltà anch’essa, di cui dire si possono i nostri “Primi Liguri” di non averla ricevuta da terre straniere.

Si vede, che queste parole riguardano il Re Cigno, del quale dice Servio secondo la favola, che Apollo gli fece dono della dolcezza del canto, e volle dire secondo la storia, che fu poeta, e cantore valentissimo.

Cigno, come si è detto, regnava nella nostra Liguria al tempo di Deucalione(3000/2500 a.C.): avendo fin da allora poetato e cantato. Credo di aver potuto dire, che nella Liguria Italica non vennero da altre parti queste arti, che è quanto dire non ci venne la musica, sotto il qual nome tali arti erano già comprese.

E’ vero, che dei Germani ha di sopra affermato Tacito, che avevano antichi versi; che dei Celti si ha da Strabone, da Diodoro, da Posidonio, da Festo, da Ammian Marcellino, che ebbero un corpo di uomini detti Bardi, destinato a comporre, e a cantare poesie: ma è vero altresì, che senza fondamento si farebbe montare l’arte, per cui verseggiavano questi Transalpini, a tempi anteriori a quelli di Cigno.

E se i Turdetani, la cui capitale era Ispali, oggi Siviglia, e che secondo alcuni erano Celti come gli altri Iberi, dicevano al tempo di Strabone, che certi loro versi, e poemi erano stati composti sei mila anni prima, ognuno vede quanto sia chimerica un’antichità, che in tutti i sistemi cronologici passa la creazione del mondo, e la passa d’altro che di qualche giorno, e di qualche anno.

Di questo secondo pregio dei nostri antichi Liguri io mi ero invogliato di saprei pure quale fosse la vera essenza, quali le proprietà, e gli accidenti: ma è tale il silenzio degli antichi su questo punto, che per poco non ho abbandonata affatto l’impresa.

Ecco tutte le mie notizie. Trovo nel Fedro di Platone, che Socrate invocando in maniera dei poeti le muse, da loro “un’epiteto”, che non era nuovo, ma che non sappiamo da cui prima che da ogni altro avessero ricevuto, e le chiama (*), che è il femminile di (*).

Questo aggettivo si somiglia moltissimo al sostantivo (*), che è il Greco di Ligure; gli si assomiglia (*) sinonimo di (*): ma se per questa materia le somiglianze, le muse, i loro versi, e il loro canto avessero a che fare con i Liguri, qui è dove giace Nocco.

Osservo, che appena Socrate nell’addotto luogo ha dato alle muse il titolo di (*), dubbio “il prende” intorno la cagione, per cui erano così chiamate; e il suo dubbio espone così: (*).

Queste parole per Marsilio Ficini traduttore di Platone valgono in latino “sive propter cantus speciem, dsive propter musicum genus illud suavium, o stridularum, cognomen habuistis”: ma è traduzione manifestamente cattiva, riuscendovi il sentimento oscurissimo, e comparendovi Socrate un folle, che tratta da stridule, e da cicale le muse nell’atto medesimo dell’invocarle, e del doverne “accattare” benevolenza.

Il testo di Platone è citato due volte da Dionisio Alicarnasseo: la prima nella lettera a Pompeo; e la traduzione, che si legge nella bella stampa di Oxford del 1704, è quasi la medesima che la Ficiniana.

La seconda volta è citato nell’operetta “dell’ammirabil forza del dire in Demostene speciem, sive propter musicam illam Ligurum nationem hoc nomen habuistis”.

Se questa traduzione è legittima, altro che materiale è la somiglianza delle due voci(*), e altro che apparente l’affinità delle muse con i Liguri, e quella del canto, e dei versi degli uni con il canto, e con i versi delle altre: ma come “chiarirsi”, che nel testo originale del divino filosofo la parola (*) accenni veramente ai Liguri, oppure dei Liguri sia stata intesa dal traduttore non solo a piacere, ma ignorantemente, attesa la diversa fede, che ha l’accento, quando “Aiyuwv-Liyuwv” è secondo caso nel numero del più di “Aiyus-Liyus” Ligure? Lo scioglimento di questo nodo dipende da un “terzo” pregio dei nostri Primi Liguri, del quale si vuole ore dire qualche cosa.

Ecco il terzo gloriosissimo pregio, che io dicevo, di questa regione Circumpadana, e di quella parte nominatamente, che dai Liguri Euganei fu tenuta; affermando Servio come cosa cortissima, che furono gli Aoni una colonia “staccatasi da quelle terre, nelle quali fu poi Venezia marittima, e vuol dire dalle terre dei Liguri Euganei, i quali nell’età precedente a quella di Cadmo, e di Deucalione, furono per ciò che ci è giunto a nostra notizia, i soli abitatori di quella parte, gli Aoni furono Liguri; e dell’affermazione di Servio mi persuado, che nessuno esigerà ulteriori prove, essendosi sempre in questi casi stimata sufficentissima l’autorità anche sola di un’antico Scrittore, quando a lui non si oppone alle storiche conclusioni ammesse già vere.

Esposto così il terzo pregio dei nostri Liguri Primi, poco resta da terminare l’interrotta esposizione del secondo, e finire tutto il capitolo: essendo chiaro, (31) che se gli Aoni, antichissimi abitatori della Beozia, non furono se non gente Euganea, e però Ligustica; se dei Liguri fu dunque il paese tutto consacrato alle muse; se dunque di sangue Ligustico furono forse le Uranie, le Euterpi, e tutte quelle altre vergini “cantaiuole”, per cui, come per loro numi, giuravano i poeti, “serque novem juro, numina nostra, Deas”, se i Liguri insomma furono i primi, che recassero in Grecia versi, e canto, nessun rimprovero si può fare a chi ha creduto, in grazia dei Liguri essersi le muse chiamate, latinizzando il testo di Fedro, ha messo Ligurum.

E’ vero che non favoreggiano gli accenti, essendo “stridolo, dolce, sensato ecc.” voce “ossitona”, Ligure, “parosittona”: ma queste sono minuzie grammaticali di data molto posteriore agli antichissimi tempi, di cui parliamo.

E non sarebbe temerario il sospetto, che quando i vanissimi Greci cominciarono ad attribuirsi ogni cosa, dessero alla voce (*) un altro accento, per nascondere, quanto era loro possibile, ciò che all’Italia loro dovevano, e alla Liguria singolarmente.

Pensi di questo ciascuno come gli parrà giusto: a me basta di avere tratti in qualche maniera dall’oscurità tre chiarissimi pregi, con cui i nostri Primi Liguri Circumpadani accrebbero e illustrarono quegli altri molti, che con sé avevano portati dalla Celtica: cioè, (32) che nella nostra Liguria, prima che in qualunque altra terra almeno Europea, vi fu l’arte del cavalcare; che in essa prima del Diluvio di Deucalione fiorì la musica ; e che essa avanti che i primi che dovevano dunque essere popolo Alpino, e che poterono far nascere il falso grido, che gli Umbri fossero Galli.

Cluverio nel secondo libro dell’Antica Italia prende la cosa da un altro lato; e avendo fatta riflessione, che nessun Greco o Romano scrittore ha mai notata la minima somiglianza di costumi, e di parlata fra gli Umbri, e i Galli, da questo silenzio “inserisce”, che dai Galli non sono potuti nascere gli Umbri.

Dà “tosto” agli occhi quanto sia illegittima siffatta illazione.

Nessuno ha mai scritto, che i Marici verbigrazia, o i Taurini nei costumi, o nella lingua fossero simili ai Liguri: ne consegue egli, che l’origine di quei due popoli non potè essere Ligustica? No certamente. (si certamente)

Per le testimonianze degli antichi a suo luogo recate, i Marici, e i Taurini erano    Liguri: si trovi detto altresì, o non si trovi, che vissero anche, e parlarono come i Liguri, non importa.

Questo è il caso degli abitatori dell’Umbria per rispetto ai Galli.

Del loro parlare, e dei loro costumi non hanno gli scrittori avuta occasione di ragionare, o non hanno voluto averla, ne vi è sillaba in tutta l’antichità, da cui si possa arguire, che nell’uno, o negli altri ai Galli si assomigliassero: da questo silenzio niente si può dedurre, quando d’altra parte si è informato, che Gallica ne fu l’origine.

Avrebbe discorso male Cluverio, quando anche per qualche autorità si sapesse, che al tempo, in cui si cominciò a scrivere delle cose Umbriche, e Galliche, gli abitatori dell’Umbria avessero parlato, e fossero vissuti “altamente” che i Galli: nonostante tale diversità, che tanti secoli dopodiché erano al mondo si fosse trovata fra le due genti, l’una poteva essere nata dall’altra in antichissimi tempi, e nata i effetti dovrebbe dirsi, posto il consenso di quasi tutti gli Scrittori, che di ciò parlano: non potendosi opporre a questo consenso intorno all’origine se non un generale silenzio intorno alla lingua, e ai costumi, la conseguenza non ha luogo, e non può averlo.

Che se poi, “comechè” tacciano gli autori, somiglianze non mancassero, e grandi fondamenta d’identità fra la lingua dei primi abitatori dell’Umbria, e quella dei Primi della Gallia Cisalpina, e dei Celti per conseguenza, e dei Germani, (dei Liguri) cosa direbbe Cluverio? Dovrebbe perlomeno dire con Riccio nella lodata “Dissertazione” che negare la Gallica origine degli Umbri “contradicendi libido videtur”.

Ma di lingua non si può ragionare, essendo ciò riservato ad un’altra opera: e senza questo è già più che abbastanza provata la mia seconda proposizione, cioè che gli Umbri per immediata origine furono Galli.

Sia la terza proposizione: i Galli, da cui immediatamente nacquero i Primi abitatori dell’Umbria, furono i Primi Circumpadani.

Se mi fosse permesso di dare al già citato testo di Zenodoto la ragionevole spiegazione, di cui ho parlato (*) , e dire, che (33) quando chiamò gli Umbri “indigeni”, altro non volle significare, se no che erano nati da altra gente, che in Italia già era, (e quale gente era già in Italia se non i Liguri?) per poco anche questa terza proposizione non sarebbe con ciò solo più che abbastanza provata.

Nei tempi antichissimi, in cui l’Umbria cominciò a poplarsi, altra gente, che si sappia, non vi era in Italia salvochè i Primi Circumpadani; (che si è visto essere Liguri) e questi in grazia del paese, che abitavano, e che fu poi detto Gallia Cisalpina, Gallia Cisterne, e anche Gallia semplicemente, poterono  a ragione chiamarsi Galli, e per distinguerli dai Bellovesiani, chiamarsi Galli antichi: se degli Umbri dunque avesse detto Zenodoto, che furono da altra già Italica gente, sarebbe venuto a dire, che furono dai Primi Galli Circumpadani: e questa testimonianza, essendo del forse unico antico, che abbia scritta la storia degli Umbri, sarebbe di un’autorità, e di un peso, che poco lascerebbe da desiderare.

Ma non volendosi, che il Trezenio, e gli altri Scrittori, quando hanno detto indigeni, abbiano parlato sensatamente, bisogna le prove prendere altrove.

Ce ne porgono per mio avviso una bellissima Bocco, M. Antonino, e Isidoro nelle parole, che già ne ho addotte, ed è questa.

Chiamano tutti e tre Umbri non progenie, non colonia, ma propaggine dei vecchi Galli (vecchi Liguri); insegnano dunque tutti e tre, che i Galli, da cui vennero gli Umbri, furono i Primi Circompadani.

Dei due nomi Propages e Propagines dice Festo, che vengono da “propagando”: e per fare ben conoscere il particolare modo di propagazione, che in senso proprio chiamasi propagginazione, lo spiega con ciò che fanno i contadini; i quali, dice, sopprimono la vite vecchia per moltiplicarla, e di questa farne due, e anche più.

Con maggior chiarezza, e precisione parlano i Signori accademici della Crusca nel loro eccellente vocabolario, quando il verbo propagginare spiegano così: coricare i rami delle piante, e i tralci della vite, senza tagliarli dal loro tronco, acciocché faccian pianta, e germoglino per se stessi.

Da questa definizione appare subito, che essendo stati gli Umbri propaggine degli antichi Galli (che erano antichi Liguri), i Galli che furono loro tronco, non possono essere stati se non i Primi Circumpadani; che erano la sola gente ad essi vicina, la quale i qualche buon senso potesse chiamarsi Gallica antica, (e della Eallica antica vi erano solo i   e la sola, dalla quale tirata più oltre, dirò così, e distesa potessero venire gli Umbri, e germogliare per se stessi quasi senza esserne separati.Si separarono poi affatto, come !vviene talvolta alle propagginidelle viti, seckndo che ha osseRvato anche Pier de Crescenzi, A fecero corpo da se, e persero Dorse anche la mEmoria della ver! e particolare 0ianta, che era 3tata la loro ma$re: ma al princ pio, se furono “veterum Gallorum<!-- --> propago”, eran ai Circompadan   o realmehte, o almeno in qualche modo attaccati; o pure, che è lo stesso, al principio non furono se non Circompadani alla destra del Rubicone menati e “produtti”.

 

Si supponga per un momento, che i Primi Abitatori dell’Umbria fossero stati per immediata origine Galli Transalpini: si sarebbero potuti dire gente dalla Gallia passata nell’Umbria; gente tolta dalla Gallia: “avulfione”, come parla Plinio,  e all’Umbria quando li vedeva accostarsi, e se posso dirlo, quando loro stendeva le braccia per accoglierli, e per poter dire anch’essa era abitata, non sarebbe stato applicabile quel di Virgilio nelle Georgiche, “Silvarumque aliae pressos propaginis arcus Expectant”.

 

Resta da cercare, da quale dei tre popoli, che prima della venuta dei Pelasgi abitavano intorno al Pò, Liguri, Umbri, e Taurisci ricevesse immediatamente l’Umbria i suoi Primi: e intorno a ciò ecco la quarta proposizione, che sarà anche l’ultima: I Galli, o sia i Primi Circompadani, da cui nacquero i primi Abitatori dell’Umbria, furono gli Umbri del Lario inoltrarsi nelle terre cispadane.

 

Abbondano qua le prove. I primi Abitatori dell’Umbria furono dagli antichi Galli, cioè dai Primi Circumpadani; e fra questi Circumpadani erano Umbri, probabilissimamente di qua del fiume, di là e presso il Lario certamente: sarebbe ben vago di fare delle gite, e di andare a zonzo chi fuori delle terre di questi Umbri volesse andare in cerca del vero ceppo dei Primi Abitatori dell’Umbria.

 

Dice Tzetze nel testo citato “Umbri natio Gallica, o Alpina.

 

L’aggiunto “Alpina” addita molto chiaramente gli Umbri del Lario, che in effetti abitavano nelle Alpi; e l’altro “Gallica” quegli addita egualmente, che dal Lario erano venuti a stabilirsi di qua del Pò, e che avendo abitato un paese detto Gallia, furono dagli Scrittori per anticipazione chiamati “antichi Galli”. Non basta ancora.

 

Si disse che gli Umbri del Lario, e gli Insubri non solamente erano dagli Ambroni, come i Primi nostri Liguri

 

ma erano i soli, che il nome dei loro padri avessero ritenuto, essendo Umbro, e Ambrone  lo stesso vocabolo in diversi paesi pronunciato diversamente.

 

Dei Sicani, o Siculi, altri Primi abitatori dell’Italia non Circumpadana, la loro origine Ligustica; e altre notizie, che ne illustrano la più antica storia.

 

La mobilissima gente Umbrica, che sino dalle prime età fu signora di tante terre nellItalia non Circompadana, (34) succede nella regione medesima un’altra nazione non meno illustre, e di stato niente meno considerabile anch’essa posseditrice; ed è quella, che dagli antichi è chiamata ora Sicani, ora Siculi, o come i Greci comunemente dicevano, Siceli.

 

La prima sede di questa gente fu per mio credere fra il Rubiconde, e l’Esi, dove la colloca Plinio insieme con certi Liburni, da dove fu poi scacciata dagli Umbri, come questi dagli Etruschi, e questi dai Galli.

 

Avendo poi i nostri Sicani passato l’Esi, che era il termine occidentale dell’Italia dalla parte dell’Adriatico, andarono nel Lazio antico: e di questa loro spedizione senza dubbio parla Servio nel luogo, “che vo a recarne”, (libro*), anche se ne parla molto confusamente, e per errore la faccia condurre da Siculo, che vedremo essere stato capo “d’altra” affatto diversa: parla dei Sicani duce Siculo venerunt ad Italian, o eam senuerunt, exlusis Aborigeni nibus … Mox ipsi pulsi ah illis, quos ante pepulerant, insulam vicinam Italie occupaverunt: o ean Sicaniam a gentis nomine, Siciliam vero a ducis nomine dixerunt”.

Fra i cinquantatre popoli Latini, che erano poi mancati senza lasciare di se vestigia, annovera Plinio i Sicani: e poco prima fra le genti, che nelle antiche età signoreggiarono il Lazio, aveva riposti i Siculi.

Della città di Roma, che per molti fu molto più antica di Romolo, si sa cosa insegna Dionisio: “Urbem terrae, marisque totius dominam, quam nunc Romani incolunt, primi omnium, qui memoriae proditi sunt, feruntur tenuisse barbari Siculi, gens indigena: e altrove ripete quasi il “medesimo”.

Servio invece di Roma pone il sito, in cui fu piantata; e in un luogo alla nazione, da cui quel sito fu prima tenuto, dà il nome di Siculi, in un altro quello di Sicani.

Questo nome piacque anche a Virgilio, e fece però dire al Re Latino (libro*): “Est antiquus ager, Tusco mibi proximus amni, Longus in occasum, fines super usque Sicanos: i quali confini dei Sicani erano appunto, dice Servio, nei luoghi, in quibus nunc Roma est”.

I Siculi presso Solino fondarono la città di Gabj, e quella di Aricia: e presso Servio abitarono dove fu poi Lauro Lavinio.

Anche la città, che fu poi detta Tivoli, secondo Dionisio era stata dei Siculi: dove Solino la chiamaterra della Sicilia”, dicendo per altro, che dagli Aborigeni ne furono scacciati i Sicani.

E’ da osservare, che questo passo di Polistore diede forte nel naso a Salmasio, e gli fece dire, che solo un pazzo poteva mettere Tivoli in Sicilia, quando notoriamente è in Italia: ma non considerò il dottissimo Critico, che la Sicilia in quel luogo dello storico significa non l’isola, che porta tale nome, ma un paese, che nel centro dell’Italia fu antichissimamente abitato dai Siculi; e non considerò forse neppure, che la sua censura oltre Solino andava a ferire anche Servio, e quello che è più, Tucidide da lui citato, per i quali il Re di Sicilia fu Italo, che certamente non regnò mai nella Trinacria.

E’ difficile da determinare, quale delle terre possedute dai Sicani prima di lasciare il Tevere fosse dagli Scrittori detta Sicilia: e io credo, che al paese di Tivoli, di cui si è già recato il testo di Solino, si debba aggiungere anche qualche tratto compreso poi nel Piceno; perché in quella supposizione, se diciamo che Italo, e i Sicani condotti da Siculo, lasciarono quel tratto, che nel Piceno tenevano, e avendo passato “l’Esi”, da cui cominciò un tempo l’Italia propria, andarono nel Lazio, si intendono subito eccellentemente gli addotti passi di Servio, Italus profectus e Sicilia”, e l’altro dei Sicani, bi duce Siculo venerunt ad Italiam, o eum venuerunt, exlusis Aboriginibus”.

Presso al Lazio, appartennero ai nostri Siculi  Antemna, e Cenina, che poi furono dei Sabini; così pure Falerio, e Fescennino, che poi furono degli Etruschi.

Cluverio vi ha aggiunto anche Agilla, e Alsio; e Riccio a queste due ha aggiunto Pisa, e Saturnia: ma rigorosamente parlando, queste individuazioni sono arbitrarie, come dimostra il testo medesimo di Dionisio, su cui sono fondate, cioè “multas urbes partim a Siculis antea habitatas, partim etiam a se aedificatas incolebant Pelasgi una cum Aboriginibus, quo in numero est o Caeretanorum urbs, quae tunc Agylla vocabatur, o Pisa, o Saturnia, o Alsium, o aliac quaedam, quas ipfis tandem Tyrrbeni eripuerunt”.

Le quali parole insegnano bensì, che qualcuna delle predette città, e altre ancora incorporate poi nell’Etruria, erano prima state dei Siculi; ma quale di esse in particolare fosse stata, sicuramente non lo dicono.

Alle terre ricordate finora aggiungasi tutto ciò, che questa gente possedette per qualche tempo nella penisola dei Bruzj prima di passare nella Trinacria, e vi possedette almeno, come si vedrà, quanto vi avevano occupato gli Enotrj da essa vinti: si aggiunga la Trinacria medesima, che per questa gente fu denominata prima Sicania, e poi Sicilia, e che sebbene dalla nostra terra ferma fu sempre, siccome io credo divisa, è però vera isola dell’Italia, e attesa la somma sua vicinanza può giustamente esserne detta parte; “Ausoniae”, Sicilia, (libro*) “pars magna jacet Trinacria tellus”; si vedrà se ho esagerato, e non piuttosto sminuito dicendo, che lo stato dei Sicani, o dei Siculi in Italia non fu meno considerabile di quello degli Umbri.

Ai Siculi pretende M. Freret che appartenesse tutta l’Italia meridionale all’Appennino, cominciando dalle Alpi, e proseguendo sino al mare Jonio.

Saprei volentieri da quale antico abbia egli presa questa notizia, ciò non dicendo nessuno di quelli, che io ho potuto vedere.

Ma quando trattasi di Sicani, e di Siculi, si tratta poi egli di una gente sola, come finora ho supposto, o pure di due diverse, che dagli antichi siano state disavvedutamente confuse insieme? Si è già visto, che io sto con la prima opinione; e credo effettivamente, che i Sicani fossero in tutto, e per tutto quello stesso popolo, che in grazia di Siculo suo Re, e condottiero si chiamò poi Siculi.

Le prove a me paiono “conchiudentissime”; e tali parranno forse ad ognuno, se avrò prima contro alcuni moderni ben provate queste due cose, cioè, che i Sicani furono in Italia; e che non vi furono di puro passaggio andando nella Trinacria.

Che fossero in Italia, l’ha detto in tre luoghi Virgilio; (libro*) Rutili, veterescque Sicani; Tum manus Ausoniae, o gentes venere Sicane; fines superusque Sicanos”: l’hanno detto Plinio, Solino. E Servio citati sopra: lì ha detto Favorino, e con lui Aulo Gallio, e Microbio, che ne adottano le parole, insegnando tutti e tre, che la lingua Sicana fu una delle più antiche, che si parlassero in Italia: l’ha infine detto Pausania; e per lui come i Frigii della Sicilia “colà” passarono dallo Scafandro , così dall’Italia vi erano passati i Sicani, e i Siculi.

L’afferma espressamente Servio dove avendo citato in prova di ciò, che “quivi” dice, l’emistichio “fines super usque Sicanos” lo commenta in questo modo: “non usque ad Siciliam., (neque enim poterai fieri), sed usque ad ea loca, quae tenuerunt Sicani, idest Siculi, a Sicano Itali Fratre: dov’è da osservare, che la particella “idest” manifestamente chiara, quale gente designasse il poeta col nome di Sicani, e dicesi, che designò i Siculi, in grazia di Sicano fratello di Italo detti anche Sicani.

Ai Sicani in Italia non danno gli Scrittori un palmo solo di terra, che non sia attribuito anche ai Siculi,come si può vedere dai dai testi del primo articolo.

Li fanno abitare nel Piceno: dove abitarono anche i Siculi.

Li mettono nel Lazio: anche i Siculi vi signoreggiarono.

Si trovano collocati in Tivoli nominatamente: il medesimo è dei Siculi.

Si dà loro il luogo, dove Roma fu edificata: e in quei luoghi i Siculi non furono meno.

Pensi ognuno come gli aggrada: io penserò sempre, che questa identità di tante abitazioni sia una grande conferma dell’identità dei due popoli abitatori già da Servio asserita.

I Siculi furono denominati da Siculo loro Re, e condottiero: non vi è cosa più nota.

Secondo Ellenico Lesbio nel libro “dell’origine delle Genti e delle Città”, o piuttosto in quello “dè nomi delle Genti” citati l’uno e l’altro da Ateneo, e dallo Scoliaste d’Apollonio, Siculo è quel Re, a quo tam ipsi genti, quam insulae nomen inditum.

Filisto Siracusano, che fiorì al tempo dei Dionisio, e scrisse le cose della Sicilia di forse ottocento anni, parlando di Siculo dice, “hoc regnante, oppure, ab hoc rege homines, qui ejus imperio parebant, Siculos appellatos”.

Quanto è certo, che l’origine dei Primi nostri Siculi non fu Greca, lo è altrettanto, che fu Italica; comunque poi discordino gli Scrittori intorno al particolare Italico popolo, a cui debbiasi riferirla.

L’opinione d’Ellanico presso Dionisio è questa: “duas classes Italicas in Siciliam trajecisseposteriorem Ausorum Japygas fugentium… Horum autem regem Siculum fuisse: che è quanto dire, i Siculi essere stati un corpo degli Ausoni, che per non essere più inquietati da quelli della Japigia, si sottomisero al Re Siculo, e con lui passarono in Sicilia.

Con le quali parole, se altro non ha preteso lo Storico, se non che fra i Siculi, quando dalla penisola dei Bruzii passarono col loro Re nella Sicania, vi fossero anche degli Ausoni, glielo concederò di buon grado, potendo facilissimamente essere avvenuto, che qualche popolo dell’immensa nazione degli Ausoni, detti anche Aurunchi, Opici, e Osci, come vedremo, mal contenuto dai suoi Capi, e da essi mal difeso contro il nemico, che tentava di opprimerlo, cercasse in Siculo un’appoggio migliore; e dovendo lui ritirarsi al di la dello stretto, volesse ad ogni patto seguirlo: ma se ha preteso Ellenico, che i Siculi passati dal Piceno nel Lazio, e di là nella penisola, e poi in Sicilia fossero Ausoni, dubito, che s’inganni a partito.

Certamente nega Filisto con espresse parole, che i condotti da Siculo in Sicilia fossero Ausoni.

Qualche parola della lingua, o per parlare più giustamente, del dialetto di uno dei due popoli potè facilmente introdursi in quello dell’altro, quando in Italia erano vicini, e quando i Siculi ritirandosi verso lo stretto, passarono per le terre degli Opici: miscuglio anche maggiore si sarà fatto, se è vero, che una partita di Ausoni riconobbe Siculo per suo Re, e con lui passò in Sicilia, come in grazia di Ellenico ha poco fa concesso: ma non per questo è mai da dire, che il parlare Siculo fosse Opico, e che gente Opica, o Ausonia fossero però Siculi.

Escluse le false origini Greca, e Opica, che si è preteso con molto sforzo di poter dare ai Siculi con la scorta degli antichi, c’è ora da vedere, che tali guide seguendo si poteva subito trovare la vera, essendo nelle antiche memorie “patente” è chiaro, che i Siculi, di cui si parla, cioè i nostri Primi dai Pelasgi trovati presso il Tevere, sono quei medesimi, che andarono in Sicilia.

Che i Siculi andati in Sicilia furono Liguri.

Per la prima asserzione sentiamo Dionisio. Siculi vero, quod simul Pelasgorum, a Aboriginum armis, belloque premerentur, liberos, uxores, o supelleEtilis quidquid aurum, aut aregentum erat assumentes, toto agro ipsis cesserunt. Et per montana loca ad meridiem versi, o tota inferiori Italia peragrata, cum undique pellerentur, ratibus tandem ad fretum paratis, o observato secundo maris aestu, ex Italia in proximam insulam trajecerunt”. 

Più chiaramente non si poteva dire che i Siculi andati in Sicilia erano Beverini, troppo bene “individuandosi” e le guerre da essi avute con i Pelasgi, e con gli Aborigeni, e il viaggio, che dovettero fare per tutta l’inferiore Italia meridionale prima di giungere allo stretto.

E come ciò è di Dionisio, che tutti sanno quanto sia accurato dove non parla dei suoi Greci, così credo superfluo aggiungere pure una delle molte altre testimonianze, in cui più, o meno chiaramente il medesimo viene affermato.

La seconda affermazione, che i Siculi andati in Sicilia fossero Liguri, si ha nel (libro) di Silio Italico, il quale dopo aver detto, che nella Trinacria erano andati i Sicani, soggiunge subito “Mox Ligurum pubes Siculo duEtore novavit Possessis bello mutata vocabula regnis”.

E se poco “paresse” un poeta per altro versatissimo nelle antichità dei popoli, e delle nazioni, ecco uno storico degli avvenimenti della Sicilia molto informato, cioè Filisto.

Ciò che egli dice si ha in un passo di Dionisio, che è bellissimo, e di ottimi lumi pieno: “Sed ut Philistus Syracusanus sripsit, tempus, quo isti trajecerunt, fuit anno oEtogesimo ante bellum Trojanum. Gentem vero, quae ex Italia transveEta est, neque Sicolorum, neque Ausonum. neque Elymorum, sed Ligurum fuisse dicit, quos Siculus ducebatLigures autem ad Umbris, o Pelasgis agro suo pulsos”.

Dice dunque in primo luogo Filisteo, che Siculo passò in Sicania con i suoi ottanta anni prima della guerra Troiana: e ciò si vuole preferire a quanto insegna Ellenico presso il medesimo Alicarnasseo dicendo, che gli Elimi andarono in Sicilia “tribus generationibus ante bellum Trojanum”, e che i Siculi ve li seguitaronoquinto post anno”.

Se pur non si volesse dire, che le generazioni non si debbono qui prendere intere, ovvero che ciascuna deve valutarsi 27 anni mancanti di qualche mese; perciò allora i due Scrittori perfettamente concorderebbero.

Dice in secondo luogo Filisto, che i condotti da Siculo non furono Siculi; e vuole dire, che non ebbero quel nome prima che Siculo li governasse; che è verissimo, come si è di sopra mostrato.

Dice in terzo luogo, che non furono Ausoni; ed ho similmente mostrato, che gli Ausoni si unirono anzi con altre genti a scacciarli da tutta l’Italia inferiore.

Dice in quarto luogo, che non furono Elimi; e dice bene, avendo poco fa insegnato Ellenico, che tale gente era passata in Sicnia cinque anni prima.

Intorno al quale passaggio vi è da osservare, che dovette essere di poca gente, non avendo gli Elimi dato all’isola il loro nome, come fecero i Sicani, e i Siculi.

Dice in quinto luogo, che furono Liguri, come ha detto anche Silio: e li chiama Liguri, non perché al Tevere fossero con quel nome chiamati; quindi si chiamavano Sicani, o Siculi; ma perché la loro origine era Ligustica.

Dice in ultimo luogo Filisto, che questi Liguri le loro terre avevano dovute cedere agli Umbri, e ai Pelasgi: e unisce forse due diversi avvenimenti, cioè la loro espulsione dal Piceno, che secondo Plinio fu opera degli Umbri; e la loro ritirata dal Lazio, alla quale secondo Dionisio poco sopra addotto furono anche dai Pelasgi obbligati.

Ma tornando alla loro origine, a Silio, e a Filisto, che l’hanno riconosciuta Ligustica, è molto favorevole anche Servio, quando ha chiamato (35) Italo ora Re dei Liguri, ora Re dei Siculi, quale lo chiama anche Isidoro: certo in qualunque senso si possa  ciò pretendere, il più naturale è, che Siculi, e Liguri furono la stessa cosa.

Provato che l’origine dei Siculi fu Ligustica, è senza più provato altresì, che fu Ligustica anche quella dei Sicani, “costando” per ciò che è detto di sopra, che Sicani, e Siculi furono lo stesso popolo.

Però resta sempre da dileguare quel “gran nuvol” di testi, per cui si pretende di ingombrare una così splendida verità, si vuole adesso farlo con la possibile speditezza.

Più in numero, e in apparenza più formidabili sono gli Scrittori, che fanno i Sicani Iberi, e di cui si pretende universalmente, che per Iberi abbiano inteso Spagnoli: questi Scrittori sono Tucidide, Filisteo, Eforo, Scimmo Chio, Dionisio, Silio, Servio, e qualche altro.

Nondimeno si va a vedere, che tanto strepito finisce in nulla.

 In primo luogo presso Tucidide, Filisto e gli anonimi accennati da Servio, i Sicani furono così detti da un fiume chiamato Sicano, o Sicori: scredita ciò affatto si illustri autorità, non potendo Sicano essere il possessivo di Sicori, oggi Segro nella Catalogna; e di fiume detto Sicano non trovandosi altra antica memoria, quando per avere dato il nome a una celebre nazione doveva essere celebratissimo.

In secondo luogo i Sicani, come si è visto di sopra, furono anteriori al Diluvio di Deuclione: per confessione di tutti non ha principio di verosimiglianza, che una colonia viaggiando per terra, e senza cambiare mai nome andasse in tanta remota età dalla Spagna sino alla Trinacria, o per meglio dire sino allo stretto, che dalla Trinacria divide l’Italia.

E dico viaggiando per terra; perché a una piccola flotta, o a un barcheggio, che sarebbe tutto al caso, non può pensarsi, essendo troppo saldamente provato, che ne dai Greci, ne dai Barbari avanti l’arrivo dei Pelasgi, e degli Enotrii sulle nostre spiaggie si era navigato verso l’Italia.

E poi in terzo luogo non dice Diodoro “Philisius quidam ex Iberia per coloniae deduEtionem translatos in possessionem terrae.

Si vuole dunque dirà qualcuno, nonostante il consenso di tante espresse testimonianze, che i padri dei Sicani non fossero gli Iberi, quanto con assai meno si è poco fa preteso, Che i Liguri padri fossero dei Siculi, e conseguentemente dei Sicani stessi.

Potrei sbrigarmi dicendo rotondamente, che si pesano le autorità, e non si numerano;e che questa regola nel nostro caso decide senz’altro in mio favore, come può ognuno vedere da se medesimo: ma non ho mestieri di sputar sentenze, concedendo io, che i Sicani Liguri fossero anche Sicani Iberi.

Plutarco in Marcellino chiama Iberi quei nostri popoli vicini alle Alpi, dai quali i Gessati ebbero i più forti stimoli a passare in Italia; anzi dice Eschilio, che il Po’ aveva il suo corso nell’Iberia, quasi Iberi si fossero chiamati tutti i Cisalpini: e se Plinio ha creduto, che l’Iberia del tragico sia la Spagna, e scusa però l’autore con l’ignoranza del secolo nella Geografia, non è questa la sola credenza erronea del grande Storico; ed ha egli bisogno, che lo scusiamo, non dirò di aver negata l’Iberia circumpadana, ma di non aver neppure saputo, per quanto pare dalla sua storia, che vi fossero Iberi nella Gallia, quando è certo, che ne era piena quella parte Narbonese, che è fra il Rodano, e i Pirenei.

Essendo stata un’Iberia intorno al Po, si vede subito come l’origine dei Sicani senza difficoltà potè essere dei nostri Liguri Italici, e insieme Iberica: per essere tale basta che fosse dai Circumpadani non Umbri, ne Taurisci, ma Liguri, essendosi i Circumpadani chiamati Iberi, e cioè per la ragione, che si dirà altrove.

Ma negli Scrittori citati per l’origine Iberica dei Sicani, Iberia significa che egli è il paese Circumpadano, o la Spagna? Di Silio, di Servio, e degli Anonimi da lui accennati “non è” questione: hanno espressamente “Pyrene, Sicoris, Hispania”: degli altri, in cui non trovo se non Iberia vocabolo equivoco, e Sicano fiume, che non fu mai, non saprei dire.

Nella prima traduzione, e nelle altre più antiche memorie tengo per certo che Iberi aggiunto a Sicani non valesse unicamente Circumpadani: se poi Tucidide, Filisteo, e gli altri gli dessero il valore medesimo, dalle loro espressioni non lo so comprendere.

In ogni caso la verita è, che i Sicani “furono” dai Liguri Circumpadani, e che per questo furono anche Iberi.

Resta uno scrupolo; e nasce da una circostanza toccata da Tucidide, e da Dionisio, cioè che i Sicani costretti furono dai Liguri ad abbandonare il loro paese: secondo noi questo vale a dire, che Liguri a Liguri  fecero questa violenza; e come ciò in estremo sconviene a buona gente, quali erano i nostri Primi, così è senz’altro da rigettare, che i Sicani fossero Liguri.

Si può conoscere la vanità di questo discorso da quanto è detto, dove a differenze, a contrasti, a guerreggiamenti si è dato luogo fra i Primi Circumpadani, che erano per la maggiore parte Liguri, nonostante la “probità”, e concordia, che regnavano in quella stagione non ancora guasta generalmente.

Per mettere le più antiche cose in modo più chiaro, mi sia permesso di toccare almeno due punti alla gloria dei veri “Primi Itali” molto importanti.

E’ dei Liguri Circumpadani tutto il merito di aver dato all’Italia, e alla Sicilia il Re Siculo, e la Sicana, poi Sicula gente: ma si “aspetta egli loro del pari ciò”, che abbiamo già accennato, cioè che i Sic ani fossero i primi abitatori della TrinacriaE che fosse del loro sangue il celebratissimo  Re Italo? Prima del primo.

Si è detto da molti, che Tucidide per Primi in Sicilia riconobbe i Ciclopi, e i Lestrigoni: e se ciò fosse, per poco non ne sarei altrettanto, attesa l’autorità di così grave Scritto, come in esso non basta, si veda Diodoro, che sapeva eccellentemente le cose della Sicilia; ha scritto a parte un libro delle isole, che è il quinto, parla a lungo delle antichità Siciliane; ed ha in luogo, Sicanos autem vetustissimos insulae cultores”; dice in un altro, che è anche più formale, e toglie tutti gli equivoci del superlativo vetustissimos, per cui viene talvolta significata non la maggiore, ma solamente una grande antichità, De Sicanis vero primis Siciliane incolsi”.

La quale autorità per quanto io stimo, assicura tanto ai nostri buoni Sicani Liguri il primo dei due proposti pregi, che senza più passo oltre al secondo.

35) Dal Re Italo è probabilissimo che avesse la regione nostra il sempre glorioso, e sempre sopra ogni altro celebrato nome l’Italia: “nunc fama minores Italim dixisse ducis de nomine gentem: e come Virgilio, così parlando Dionisio, Tucidide, Antioco, e molti altri.

Si crede comunemente, che Italia designasse da principio la sola penisola, che è allo stretto della Sicilia, o piuttosto una parte di essa: ma non è da trascurare un passo poco osservato di Servio, in cui dopo essersi detto, che “Italo Re di Sicilia”, cioè di quelle terre del Piceno, che furono antichissimamente tenute dai Siculi, “venne a quella parte, ove regnò Turno”, di essa si aggiunse subito,"“quam a suo"nomine appellavit Italiam”.

Insegnano di più gli Scrittori, che Italo, saggio Principe, e dabbene, fu quegli, che dopo aver molti popoli suggellati al suo impero, e nominatamente gli Enotrii, questi dallo studio della pastorale vita a quello dell’agricoltura tradusse, e prima di ogni altro leggi loro pose.

 

Di tale e tanto uomo era quasi impossibile, che precedere quell’epoca se non di circa cento anni, essendo stato padre di Siculo, che la precedè di circa ottanta.

36) Per l’origine di Italo, la verità mi pare questa, egli fu padre del Re Siculo, di cui nessun antico ha mai pensato, che fosse Greco, o di schiatta Greca. Fu Re dei Liguri Siculi, cioè di quei Liguri Sicani, che dal nome del loro Re furono poi detti Siculi, e fra i quali non si sa che regnase mai Greco prima del loro passaggio in Sicilia: fu Re di questi Liguri prima nel Piceno, e poi nel Lazio, due regioni chiamate in qualche loro parte per lungo tempo terra Sicana, e Sicilia: di questi Liguri si è mai detto, che da Condottiero, o principe Greco si lasciassero guidare, o reggere: credo raccogliersi da tutto ciò, che Italo non venne d’Arcadia, né fu Enotrio, né Molossio, ma fu vero Ligure, e Sicano.

Si confermerà questa origine nell’altra Opera, dove parleremo del nome Italo, e dell’altro Leutaria, che fu quello della moglie di lui; i quali nella lingua, che i Liguri dalla loro regione nativa portarono in Italia, si troveranno di convenientissimo significato.

37) Di quale nazione fossero gli Aborigeni annoverati anc’essi frà i Primi abitatori dell’Italia non Circumpadana.

Si stabilisce, che non furono Greci, ma Itali, e Liguri.

L’eruditissimo Valguarnera, fu dell’opinione, che gli Aborigeni fossero i Primi Abitatori di tutta l’Italia: l’ha seguito anche il chiarissimo Maffei nel “Ragionamento”, dove (38) chiama gli Aborigenila più antica gente, di cui si potesse trovare memoria nel Lazio, e in alcuna altra parte d’Italia: ma realmente, lasciando anche ciò, che si potrebbe qui ripetere dei Primi Circumpadani in generale, e di alcuni loro popoli in particolare, niente è meno conforme alla storia, e meno esatto di tal Primato.

Degli Aborigeni non si sa che signoreggiassero, se non nel paese, che fu poi dei Sabini, e in quello, che fu detto Lazio:e di quei paesi insegna espressamente Dionisio, che furono prima tenuti l’uno dagli Umbri, l’altro dai siculi.

In his igitur locis”, dice l’accuratissimo Storico, parlando del territorio della città di Rieti attribuita anche da Plinio ai Sabini, Aborigines expulsis inde Umbris primas sedes feruntur posuisse: e altrove parlando di Roma capitale del Lazio, eam longo antiquis dominis erptam occuparunt Aborigines: e gli antichi padroni del luogo aveva detto poco prima essere stati i Barbari Siculi.

Volendosi dunque parlare con esattezza, non dovrebbero 38) gli Aborigeni essere annoverati fra i Primi: come nondimeno parla di essi la storia prima della venuta dei Pelasgi; e Plinio prima dei Pelasgi li nomina annoverando i più antichi abitatori del Lazio antico; e di più si dà loro il titolo di Primi da Giustino, o sia Trogo Pompeo, e forse da Catone, e da Sallustio ricordati da Servio, non voglio contendere a quest’illustre popolo una così illustre prerogativa.

Egualmente che del Primato, si potrebbe questionare molto del nome di questa gente, cercando, se in Italia fosse mai popolo, il quale mentre fu in essere, col nome di Aborigeni si appellasse.

L’affermano Catone, e Sallustio poco fa citati: dice Dionisio, “qui vetus Aboriginum nomen usque ad belum Trojanum adbuc servarunt, o a Latino Rege, qui belli Troiani temporibus regnavit, Latini dici coeperunt”: ma secondo me è molto più verosimile, che il nome degli Aborigeni allora nascesse, quando i Romani entrarono in pensiero di scrivere la loro antica storia, e di dare “contezza” della loro prima origine in Italia.

Non trovarono nella tradizione, la quale delle origini, delle successioni, e di ogni altra maniera di avvenimenti era in gran parte la sola depositaria, se non con un miscuglio di genti barbare, o sospette di essere favolose: niente di meglio somministravano loro gli Scrittori Greci, che dell’Italia qualche cosa avevano detta: non seppero in quella confusione, o forse non vollero, quali di queste genti dovesse nella loro genealogia essere presa, o lasciata, quale preferita, o posposta: niente è più probabile, che avessero essi risoluto di non decidere nessuna cosa, e di sbrigarsi con nessuno di quei nomi, che dicono tutto, ma nulla dichiarano, e avere per questo effetto dopo molti pensieri scelto in prima, come si ha da Saufejo presso Servio, quello di Caschi, cioè antichi, quindi il più studiato e artificioso di Aborigeni, il quale, secondo la prima, e presso me più vera significazione da Dionisio recata, corrispondendo perfettamente alle voci Greche,(*) veniva a dire gente, da cui i Latini erano primariamente originati; che è il senso anche da Plinio antiposto a tutti gli altri, come si vede dal luogo, in cui i Tirii chiama Aborigeni dei Gaditani.

Andò per mio avviso di questo, o di altro poco diverso modo “la bisogna” del nome Aborigeni; e ne ho in gran parte mallevadore anche Saufejo poco fa addotto, per cui inventori di quel nome furono i posteri, cioè per mio avviso i più antichi Romani Scrittori delle cose del Lazio.

E se questa opinione si ammette, come credo, che debba farsi, agevolmente si spiegano Catone, Sallustio, e Dionisio essersi chiamati Aborigeni prima che regnasse Latino, vogliono dire unicamente, che le antiche memorie finchè parlano delle cose di quella gente anteriori a Latino, essa chiamano Aborigeni; quando parlano a posteriori, la c hiamano Latini.

Come nondimeno siamo avvezzi ad intendere per Aborigeni un popolo da tempo immemorabile così chiamato, e questo modo di parlare serve non poco alla chiarezza, in questa parte non farò nessun cambiamento.

Vi è però da osservare prima che si proceda, come un testo di Ammian Marcellino anche da me citato, abbia intorno al nome Aborigeni non poco “trasviato” il Sign. Gilbert sempre nel “saggio di Dissertazione sull’origine dè Galli”.

Le precise parole, con cui si esprime lo storico Latino cominciando l’estratto dello scritto Greco di Timagene, furono queste:(39)  “Aboriginem primos in his regionibus quidam vivos esse firmarunt Celtas”.

Ha creduto l’autore del “Saggio”, che qui Aboriginespiuttosto che “Celtas”, sia nome proprio della colonia, che prima di ogni altra di qualunque nazione entrò nella Gallia, e in grazia di Celto Re vi fu detta Celti: ha creduto inoltre, che tale colonia fosse di Liguri, e nominatamente di quelli, che vennero dalle Alpi dominanti la Gallia: senza più si è posto in necessità di dover credere altresì, che non i posteri inventassero il nome Aborigeni, come ha insegnato Saufejo, non dai primi Romani Scrittori delle cose del Lazio se ne debba attribuire l’invenzione, come ho io “congetturato”,  ma i Liguri Alpini lo formassero nelle loro caverne, e ciò facessero non solo prima che alcun Romano scrivesse, o a Roma fosse, ma prima che regnasse Cigno, e Deucalione, prima dei quali, come a suo luogo è stato detto, fiorivano già i Liguri, e già la Gallia era abitata.

Sorgente di questi errori è stato un discorso erroneo sul passo di Marcellino.

Si è premesso, che a questo Scrittore non può negarsi la lode di essere stato molto esatto: si è concluso senza pensare di più oltre, che non avrà dunque impiegato il termine “Aborigines”, se non perché era in Timagene: e se fu nel Greco Scrittore, già è nome proprio, tale essendo in tutti i Greci: e se è nome proprio, già è Ligustico della prima antichità, tale essendo stata la colonia, che si vuole portasse con se nella Gallia ancora disabitata.

Resto attonito, che non si sia avvertito, quanto cattiva prova dell’avere Timagene usato Aborigeni sia l’esattezza di Marcellino, dalla quale tutto dipende.

 Il raro pregio di questo soldato Scrittore non è da mettere in dubbio. sino per ciò che spetta alla sua Germania, attesta Lindebrogio non essere nato dopo Tacito, “qui memoriae aut plura, aut exaEtiora tradiderit”: ma non è da dubitare neppure, che se Greco in vece di (*) fosse stato (*) o altro simile appellativo, uno Scrittore Latino anche esattissimo non avesse potuto tradurre Aborigines”.

Se  l’Aborigines di Marcellino può essere traduzione di uno dei tre appellativi senza difetto immaginabile di esattezza, è evidente, che dall’essere quello Storico stato esatto non si è potuto

inserire, che nell’originale fosse il proprio; e se questo non si è potuto, già cessa, e falsa ogni ragione di fare Aborigeni nome Ligustico Alpino dei primi tempi.

Intorno alla ragione del nome Aborigeni si possono dire etmologizzando le più meravigliose cose del mondo; ma ogni uomo sensato crederà sempre, che sia composto della particella “ab” nata da “àro”, e del nome “origo” nato dal verbo (*), ovvero (*), excitor: e se è tale, non può stare, che i Liguri Alpini lo portassero nella Gallia prima di Cigno, e Deucalione, quando il Greco non era ancora arrivato neppure nel Lazio, e il Latino, che in gran parte è composto di Greco, non vi era ancora nato.

Non essendo stati gli Aborigeni puri né dall’Arcadia, né dall’Acaja, non saprei da quale altra Greca terra si potesse volere che fossero, altra non ne nominano gli antichi: e non essendo stati dalla Grecia, dico senza più, che furono dalla Liguria.

40) Raro pregio della gloriosa Nazione Ligustica, che oltre ad avere dato per mezzo di Principi, e di Popoli del suo sangue all’Italia, e alla Sicilia gli eterni nomi, che hanno, sia stato il primo Italico ceppo di ciò, che l’Italia, e il mondo tutto hanno avuto di più grande, e di più ammirabile, che è stato senza dubbio il popolo Romano.

Che i puri Aborigeni fossero gente Italica, l’avrebbero detto gli Scrittori accennati da Dionisio, per i quali furono indigeni, se di tali Scrittori potesse dirsi, che hanno parlato sensatamente: ma quand’anche essi non l’abbiano detto, lo rende certissimo l’esclusione dei Greci.

Perciò non avendo mai i buoni autori in rispetto ai primi tempi parlato di altre genti intorno al Tevere, salvochè di Greci, e di Italici, se i primi si escludono, e credo di avere mostrato, che si debbono escludere, necessariamente rimangono i soli secondi.

Che poi essendo stati gli Aborigeni gente Italica, non fossero se non Liguri si prova facilmente.

Abbiamo Dionisio, alii vero dicunt eos fuisse colonos Ligurum, qui Umbris sunt finitimi”; e ho tradotto “dicuntnon perché mi faccia paura il “fabulantur” delle altre traduzioni, sapendo ognuno, che non pregiudica ad una storia l’averla chiamata favola uno Scrittore, a cui essa non piace; ma perché (*) usato qui da Dionisio significa non poche volte precisamente “raccontare”; è perché Dionisio medesimo progredendo fa conoscere molto chiaramente, che dire Aborigeni Liguri era presso lui tutt’altro che favoleggiare: egli pensa, come si è detto, che se i primi Aborigeni furon Greci, fossero di quelli, che dall’Arcadia venuti erano con Entro: e dopo aver ragionato assai intorno a questo suo sistema conclude infine dicendo,quod siqui natura comparatum habet, ut ad ea, quae de priscis rebus diEta sunt, temere admittendum non sint, faciles; illi etiam ne faciles sint ad credendum eos aut Ligures, aut Umbros, aut alios quospiani barbaros fuisse: sed ubi expeEtarint donec o caetera cognorint, tunc demum id, quod omnium maxime probabile fuerit, judicent”.

Dovevano aver fatto altro che favoleggiare gli autori, che tenevano per gli Aborigeni Liguri, se Dionisio degna reputa la loro opinione di essere posta in bilancia con la sua propria, e si contenta, che si sospenda ogni giudizio sino a causa meglio delucidata.

Parla lo stesso Dionisio in quest’articolo di alcuni Anonimi, che gli Aborigeni avevano fatti Liguri; e questi, “comechè” troppo gli fossero contrari, non prende a confutare in nessuna maniera; e per la verità, o falsità della loro dottrina si rimette al giudizio, che potrà farsene quando tutto sia ben esaminato e discusso; e vuol dire, che si rimette accortamente ad un giudizio, da cui potrebbe sempre appellare sotto pretesto, che non l’avessero i giudici maturato abbastanza.

Chiedo, che mi si dica senza raggiri da dove possa essere nata questa diversità.

Dopo tutte le riflessioni altro di sensato e di fermo non si può rispondere, se non che l’opinione favorevole agli Aborigeni Liguri non dava presa a contraddittori.

E come ciò vul dire, che negli scritti di chi quell’opinione aveva seguita, almeno erano dunque prodotte le necessarie testimonianze, e quanto lo permetta la lontananza dell’avvenimento, era annotato aut quibus aEti casibus, aut quo coloniae duce, aut quo tempore a.c.” avessero i Liguri occupato il Lazio, e Aborigeni vi fossero divenuti, eccoci a Dionisio stesso inaspettatamente forniti di tutte le migliori prove, con cui ai Liguri si possa riservare intatto il diritto di paternità per rispetto agli Aborigeni.

 E se ho ristretti ai soli Liguri questi argomenti, che stando alle parole dello storico, per gli Umbri potrebbero valere, e per barbari ancora, mi ci ha obbligato il complesso di quanti passi degli antichi Scrittori, che sono per i Liguri soli, e vuol dire, che sono per quella gente, da cui si erano separati i Sicani per origine anch’essi Liguri, ma non più Liguri appellati. Vediamo del complesso, quello che ho detto.

Festo parlando dei Sacrani, che secondo Virgilio erano in fiore all’arrivo di Enea, e militarono sotto il Re Turno, dice, che furono per origine genti di Rieti, forse già divenuta luogo Sabino, la quale gente essendo uscita dalla sua patria per una di quelle, che si dicevano (41) Primavere sacre, si chiamò Sacrani, e andò a gettarsi sul Settimonzio, che qui non può significare se no il luogo, dove Roma fu edificata, e ne scacciò i Liguri, e i Siculi.

Domanda agli studiosi delle antichità chi fossero questi Liguri scacciati da Settimonzio, e distinti dai Siculi del luogo medesimo, e anteriori alla loro cacciata da quelle terre, e al loro passaggio nella Trinacria.

Dirà ognuno, che non possono essere se non gli (42) Aborigeni puri, chiamati poco fa presso Dionisio coloni Liguri; e si deve dirlo per due ragioni.

La prima, che altro popolo di tale nome in quei luoghi, e per quei tempi tanto lontani non si trova ricordato dagli Scrittori.

La seconda, che degli Aborigeni appunto dice Dionisio, che guerreggiando contro i Siculi avevano occupata Roma, forse il luogo, dove la città fu piantata, il qual luogo da principio era precisamente parte del Settimonzio di Festo, e non il Settimonzio tutto intero, una parte del quale potè però essere ancora in potere dei Siculi, quando da Rieti, o come altri dicono, da Ardea vi andarono i Sacrani.

Intorno a questi Sacrani anche Servio ha un passo, che non potrebbe essere più favorevole agli Aborigeni Liguri.

Con ciò, sia che avendo detto, che i luoghi, dov’è Roma, furono abitati dai Siculi, aggiunge di questa gente, essi furono scacciati dai Liguri, i Liguri dai Sacrani, i Sacrani dagli Aborigeni”: e dei Liguri qui nominati da Servio ognuno vede, che sono gli Aborigeni di Dionisio, attribuendosi agli uni, e agli altri il medesimo “scacciamento” dei Siculi.

E se facesse difficoltà, che dunque i Siculi si dovranno dire scacciati dagli Aborigeni, questi dai Sacrani, e questi di nuovo dagli Aborigeni contro l’intenzione di Servio, il quale con quattro nomi non avrà certamente voluto additare tre soli popoli, si può essere sicuri, che il dotto Grammatico non ha avuta altra intenzione, se non che di riferire con fedeltà quanto aveva trovato nelle antiche memorie; né ha creduto di dover indagare, se in quelle memorie ai quattro diversi nomi, che vi erano notati, Siculi, Liguri, Sacrani, Aborigeni, corrispondessero a quattro popoli, che fossero diversi non solamente perché avessero formate diverse comunità, ma perché diversa ne fosse stata anche l’origine; che era articolo tanto estraneo al suo disegno, quanto congiunto al nostro, che è segnatamente di scoprire la vera origine dei Primi Itali.

Virgilio volendo ricordare Auno Ligure, padre di quell’astuto figlio, che fu ucciso da Camilla, si contenta di chiamarlo abitatore dell’Appennino, e intende probabilmente quella parte di esso, che era nella Liguria dei suoi tempi posta tra il Varo, e la Magra, come indica l’altro passo, in cui si dice, che Cinica, e Cupavone Liguri accorsero sopra un Bucentoro in aiuto di Enea: ma Silio insegna di più, che Auno era figlio di Fauno Re degli Aborigeni da noi detti misti, e che il regno di lui era nei contorni del Trasimeno.

E in effetti più verosimilmente dall’Appennino di quella parte che dal nostro della regione Cispadana, potevano i Troiani ricevere alcun rinforzo.

Il sito di questo regno Ligustico, e il regale sangue Aborigenesco di Auno Ligure mostrano assai chiaramente, che i Liguri “quivi di poi trovati”dagli Scrittori, erano quell’antichissima gente, che fu poi detta Aborigeni, e presso Dionisio è chiamata colonia dei Liguri vicini agli Umbri”.

Licofrone, che visse circa trecento anni prima dell’era volgare, dove parla della venuta di Tarconte, e di Tirreno, dice, che questi due sparvieri lasciando il Timolo si gettarono contro Agilla, combatterono con i Liguri, e con i discendenti dei Giganti Sitonii, e presero Pisa con tutta la regione vicina all’Umbria, che vuol dire con tutta l’Etruria.

Per i discendenti dei giganti Sitonii è provabilissimo, che intenda il poeta i Pelasgi venuti dalla Tessaglia, dove tante prodezze i Giganti avevano fatte: ma per i Liguri non ha potuto intendere se non gli Aborigeni, come ha veduto anche Valguarnera, e come si ricava presso che evidentemente dal passo di Dionisio dove dice, che gli Aborigeni, e i Pelasgi tennero in comune Agilla, Pisa ecc..

Vi saranno altre autorità per provare, che i puri Aborigeni furono Liguri: ma sovrabbondano le addotte, formandosi con esse, e col rimanente, che in questo capitolo sono andato accennando, un raziocinio, che pare non ammettere sola opposizione.

    I puri Aborigeni non nacquero dai Greci, ma da alcuna Italica gente; questo è provato.

Da altra Italica gente non si ha fondamento di asserire  che nascessero, salvo che dalla Ligustica, per la quale meravigliosamente colpirà l’autorità di parecchi antichi; è provato anche questo.

Dalla sola gente Ligustica si deve dunque asserire che nacquero.

E’ confermata questa origine dei nostri Ausoni da un bel passo di Livio, ed è quello, in cui si dice, che Volunnio, il quale fu console l’anno di  Roma 458, mandò fra i Sanniti persone pratiche della lingua Osca per spiare i loro movimenti.

Le prossime conclusioni, che da ciò nascono, e sono, che i Sanniti parlavano dunque la medesima lingua, anzi, come si dirà nell’altra Opera, il medesimo dialetto con gli Osci, o sia gli Ausoni, ed erano per questo stesso una medesima gente; sono già da altri state vedute: e le rende più certe l’autorità di Festo, dove spiegando il “Bilingues Brutates” di Ennio, insegna, che Osco parlavano i Bruzii, dei quali si è giaà veduto, che nati erano dai Sanniti per mezzo dei Lucani: ma credo, che discorrendo si possa andare qualche grado più oltre, e si possa concludere qualche cosa di maggiore importanza per la nostra prima storia, cioè che gli Ausoni,  come poco fa si diceva, non furono per origine se non Umbri. (Umbri = Ambroni = Liguri)

Se io mi “opponga”, è da vedere accuratamente.

Essendo stati i Sanniti una gente medesima con gli Ausoni, ciò deve essere avvenuto, quando non si voglia sofisticare, per una di quelle tre ragioni; o perché i Sanniti nati fossero dagli Ausoni; o perché gli Ausoni fossero nati dai Sanniti; o perché gli uni, e gli altri fossero una terza gente.

L’enumerazione sarà forse imperfetta; le mancherà per ventura alcuna cosa: ma non conosco questo difetto; e non conoscendolo, proseguirò come se non ci fosse.

La prima, e la seconda ragione, cioè che i Sanniti fossero nati dagli Ausoni, o gli Ausoni dai Sanniti, è indubitato, che non possono qui avere luogo, chiaro essendo per le autorità sopra addotte, che padri dei Sanniti furono i Sabini, e per quelle, che fra poco si addurranno, che ai Sanniti prima dei Sabini medesimi furono gli Ausoni anteriori.

Resta dunque la terza ragione; e i Sanniti con gli Ausoni saranno stati la medesima gente; perciò gli uni, e gli altri da una terza fonte erano usciti, da una terza gente, o da un terzo popolo colonie erano stati.

E se è così, siamo pochi passi lontani dagli Umbri.

Perché la terza gente, da cui dir si deve, che gli Ausoni, o i Sanniti discesero, non può essere stata se non una di queste due, se uscire non vogliamo dalle genti Italiche senza alcun fondamento: o quella, da cui i Sanniti immediatamente erano nati; o quella, da cui nati erano mediatamente.

Intorno alla prima tutti converranno con me, che da essa non nacquero gli Ausoni: e la ragione è chiarissima, che i padri immediati dei Sanniti furono i Sabini, come si disse: e dei Sabini, (quindi Liguri) avvenga che da Strabone siano detti antichissimi, si può assicurare, che gli Ausoni furono posteriori, e che nessuna loro memoria precede la venuta dei primi Greci in Italia, quando gli Ausoni già vi erano una numerosa nazione.

Per ciò, che dico dell’età dei Sabini, mi sono mallevadori Zenodoto, Plinio, Festo, Marrone, Catone, Gallio, ed altri ancora.

I Sabini secondo Zeodoto non furono così chiamati, se non dopo la loro cacciata dal territorio di Rieti per opera dei Pelasgi: furono dunque posteriori agli Ausoni, che dai Pelasgi, e dagli Enotri furono trovati in Italia.

Non essendo stati gli Ausoni dai padri immediati dei Sanniti, dovettero essere da mediati: e se questi furono, se la loro stirpe fu la gente, da cui nacquero i Sabini, ecco senz’altro gli Umbri, e con essi gli Ausoni gente Umbrica, che è quanto quì si cercava.

Dalle terre occupate dagli Umbri uscì quando che fosse, certamente prima che i Greci venissero in Italia, la colonia, che diede principio agli Aurunchi.

Ciò è preso dagli autorevoli testi, che fanno gli Aurunchi, o Ausoni Umbri, e che li fanno antichissimi, e “Primi” in Italia.

Per quello, che si è stabilito intorno all’origine Circumpadana dei Primi Italici più orientali, Umbri, Sicani, Aborigeni, Aurunchi, quanto si rischiarano le loro antichità.

Parlando nel capitolo secondo dell’importanza di sapere chi fossero ordinariamente i “Primi Abitatori dell’Italia” per ben intendere parecchi altri punti della più celebre antichità Italiana, fui costretto a contenermi in sole ragioni; e mi costrinse la natura degli esempi, che d’altro modo non avrei dovuto recare, i quali supponendo molte notizie, che non si avevano allora, e che qui senza grande lunghezza non potevano avere luogo, avrebbe oscurato le cose piuttosto che illustrarle.

Ora che tutto è spiegato in modo sufficiente, si vuole vedere in effetti per alcun saggio almeno, che solamente sapendo la vera origine dei “Primi Itali”, e conseguentemente le loro qualità, i loro usi, e le altre loro pertinenze, si può rendere buon conto di molte particolarità maneggiate per altro, e rimaneggiate dagli Scrittori, ma con poca felicità.

Ha imbarazzati anche i più valenti commentatori ciò, che appresso dice il poeta Numano Remolo cognato di Turno, Durum ah stirpe genus, natos ad flumina primum Deferimus, saevoque gelu duramus, o undis: e Farnabio, si è ridotto a dire, che questa è una semplice allusione a ciò, che praticavano i Celti, o che al più quì si parla di nuoto: quasi che nessun Scrittore abbia mai detto, che in Italia si tuffassero anticamente i bambini in acqua fredda, quando si ha da Aristotele, e da Posidonio addotto da Strabone, che tale era il costume dei Liguri, e si ha di più da Silio, che altrettanto facevano gli Ernici, e i Volsci e i Rutuli che furono Aborigeni, come abbiamo dal Re Latino dove chiama consanguinei”: gli Aborigeni il loro essere primo dovettero ai Liguri, come si disse: dai Liguri naturalmente appresero e Aborigeni, e Rutili a temprare dirò così i loro bambini, eveluti ferrum candicans”, dice Galeno nel citato luogo in frigidum humorem mergere.

Sono celebri nelle Scritture Romane i versi Saturnii; e di essi tutti sanno dire, che nei posteriori tempi erano giambici, trimetri, eccedenti di una sillaba il senario comune, e che nei principi erano “quali”insegna Servio averli usati per lungo tempo il Romano volgo, cioè ritmici solamente; e vuol dire secondo Beda, modulati non per la lunghezza, o la brevità delle sillabe, come si fa nel metro; ma solamente per il numero delle sillabe medesime, e ciò a giudizio dei soli orecchi.

Svida insegna, che ritmo è termine più generale, che non metro; e l’insegnamento è verissimo: ma del primo autore dei versi con ritmo solo composti nessuno ha mai saputo chi fosse.

Non si uscirà mai da questo impaccio senza l’aiuto dei Primi Circumpadani.

 Gli Aborigeni erano Liguri : fra i Liguri fiorirono grandemente il canto, e la poesia fino dai tempi del Re Cigno, niente è più certo, che i versi Aborigineschi, o Saturnii essere nati da quelli dei Liguri.

E alla poesia Ligustica rende forse la Saturnia tanta luce, quanta ne riceve; e ci fa intendere, che anche i versi del Re Cigno furono Ritmici.

Aggiunge lo stesso Scrittore della “Dissertazione” che siffatti versi sono “cosa meramente Italica, o sia Latina, e Romana, e non degli inferiori secoli solamente”.

Per gli inferiori secoli è verissimo l’avvertimento, posto ciò che si è detto: per il resto si potrà dire per “lo innanzi” con maggiore precisione, che i versi ritmici furono cosa tutta Italica, e propriamente Ligustica, usata poi dagli Aborigeni, dai Latini, e dai romani.

Come passò dunque egli il fatto di quella preziosa età beata quanto si è alla nostra Italia? Il vero, che vi può essere, si contiene tutto in quelle poche parole.

Comincò a correre tale età nelle terre Circumpadane; e ciò fu quando ci vennero i Marici, e gli altri Primi Liguri, i Primi Umbri, e i Primi Taurisci, genti tutte semplici piane e dabbene, come si disse.

Allargò il suo corso nella parte più orientale della regione; e ciò fu quando una colonia degli Umbri Circumpadani, dalla quale altra poi si staccò chiamata Aurunchi, si inoltrò in quella parte, e vi recò le virtù, che aveva imparate dai suoi Maggiori; e allora anche qui “Non acies, non ira fuit, non bella, nec enses Immiti saevus duxerat arte faber”; con tutte le altre belle cose, che aggiunse Tibullo, e che possono vedersi anche in Ovidio, e in molti altri.

Avanzarono finalmente dalla Liguria due altre colonie, cioè i Sicani, e gli Aborigeni: l’una e l’altra per cagione di certe terre fra il Nar, e il Velino ebbero al primo arrivo gravi brighe con gli Umbri, e tra di loro: dal Po’ giunsero i Pelasgi, e si unirono con gli Aborigeni contro i loro nemici. Venne Enotro, e assalì gli Aurunchi: crebbe la voglia di possedere, e di dominare: mise penne l’aurea stagione, se ne andò, e non ha mai fatto ritorno, che adulando abbiano più volte detto i poeti, ed altri con i loro “redeunt Saturnia regna”.

Ma, come si vede, senza le notizie per noi recate quest’Opera non si sarebbe ma i chiarita questa parte delle nostre antichità oscurata da tante favole.

Aborigeni, e di quegli altri “Primi Itali” penso doversi discorrere alquanto diversamente; e come a quella parte trovo usato da tempo immemorabile il far voto di una Primavera Sacra, mentre Plinio di siffatto uso ragiona sino per quella remotissima età, in cui i Piceni si separarono dai Sabini, “congetturo”, che per non allontanarsi dal vero bisogna dire, in tre stagioni, Primavera, Estate, Inverno, avere quei “Primi” diviso il loro anno.

I Primi Abitatori dell’Italia orientale erano tutti gente nata dai “Primi Circumpadani Liguri, Umbri, e anche Taurisci mischiati con essi: fra i “Primi Circumpadani”, come si disse, era stagione  ignota l’Autunno: è naturalissimo, che per questo stesso non ne avesse notizia neppure il resto dei nostri “Primi”, e che anche fra essi non contasse l’anno se non Primavera, Estate, Inverno.

Si vuole dire la stessa cosa di certi diritti della “patria podestà” fra i Romani, e di quello singolarmente, per cui era lecito ai padri, quando “spediente” si giudicasse, dar morte ai figli nati dal loro legittimo matrimonio. E se cercando l’origine di questo domestico magistrato, si trascurano i nostri Liguri primi, la fatica sarà del tutto gettata, e non potrà riuscire se non molto imperfettamente.

Ciò che non era lecito per natura, lo divenne qua e là per costume.

Pensassero alcuni dei primi Popoli, che assicurare con meno non si potrebbe la ben costumata al- levatura dei figli, e la buona governazione del resto delle famiglie pensassero, che per rispetto ai figli non si darebbe mai troppo a chi aveva loro dato l’essere la vita; il diritto della patria podesta si trova in parecchie nazioni da tempo immemorabile molto esteso.

 Che tale lo avessero i Celti, si è già visto; che minore non l’avessero i Germani, lo prova Eineccio; e che ai Celti e ai Germani fossero in ciò simili i Liguri, gli Umbri, e i Taurisci Primi Abitatori del paese Circumpadano, l’ho dedotto a suo tempo, e credo giustissimamente, dalla loro origine Celtica, e Germanica.

 E perciò questa ragione dell’origine milita anche per i popoli, che furono dai Primi Circumpadani, e nel nostro caso milita per gli Aborigeni, che furono dai Liguri, per i Latini, che dagli Aborigeni, e per i Romani, che furono dai Latini, tanto dei Romani, e dei Latini, quanto degli Aborigeni si  può dire sicuramente, che il diritto della patria podestà fu nelle loro famiglie assai più ampio, che la natura non aveva concesso.

Quanto si fosse allargato, e con quale eccesso lo mettessero in pratica prima che Romolo la sua legge promulgasse.

Avevano quei rozzi, e semplici Primi Abitatori le loro qualità fisiche morali politiche: avevano le loro costumanze, e le loro cognizioni, come si può vedere dal (cap. 8), dove ne ho data,  e se non erro bastatamente giustificata idea, che ho creduto più convenire a quella incoltissima età: si esamini attentamente, se si incontrerà qui, o nelle sorgenti man mano additate somiglianza, e corrispondenza a tale, o tal’altra antichità Aboriginesca, Sicana, o di altro antico popolo di quel tratto, della quale si brami sapere la vera fonte: e quando si incontri, com’è in effetti anche delle undici poco fa ricordate, e di non poche altre, che si potevano aggiungere, non avremo “si tosto” richiamata la certa discendenza degli Aborigeni, e di quegli altri dai “Primi Circumpadani” (Liguri), che si presenterà da se stesso il punto di cui si cercava.

Potrà succedere qualche sbaglio: ciò che segue naturalmente da una verità, non è sempre anch’esso vero: ma un’illazione, che ha per se la naturalezza, appaga sempre gli animi ragionevoli: e ad appagare la nostra ragione è tutto quello, che può sperarsi, e dirò anche desiderarsi in certe materie.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1) Aborigeni e l'origine Ligustica

2) I Liguri i primi abitatori in Italia

3) I Coziani erano Liguri

4) I Taurini erano Liguri

5) Levi e Marici erano Liguri

6) Il Ligure Mares fu il Primo che montasse a cavallo

7) I Veliati erano Liguri

8) I Salii erano Liguri

9) Ilvati, Eleati, Veliati, erano Liguri

10) Gli Euganei erano Liguri

11) Libui, Orobici, Libii, Libici, erano Liguri

12) Triumpilini, Camuni, Stoni, Trentini, Steni, erano Liguri

13) I Mediaci erano Liguri

14) Vagenti, Caturigi, Insubri, Umbri, erano Liguri

15) Taurisci, Reti, Leponziii, Salassi, erano Liguri

16) Mefiati e Canini erano Liguri

17) Umbri e Ambroni stessa cosa, erano Liguri

18) Galli e Germani erano somigliantissimi, come i Celti

19) Secondo i Druidi la "Gallia" era "Indigena" cioè Ligure

20) Non tutti i "Galli" erano Celti, ma Indigeni Liguri

21) Galli, Celti, Liguri, una sola Gente

22) Lo erano per lo stato fisico, il sangue, l'origine

23) Secondo i Druidi esisteva una Nazione più antica della "Gallia"

24) Non per origine erano diversi, ma per i luoghi che abitavano

25) La Nazione Ligustica

26) I Liguri si chiamavano e erano Ambroni

27) Liguri, Umbri, Ombrici, stessa origine stessa gente

28) Umbri e Ambroni, uguale Liguri

29) Cigno e Veleno erano Re Liguri

30) Mares fondatore dei Liguri Marici e primo a cavalcare in Europa

31) Aoni e Euganei erano Liguri

32) I Liguri primi nell'arte di cavalcare, della poesia, della musica

33) Gli "Indigeni" erano Liguri

34) Siculi, Sicani stesso popolo, erano Liguri

35) Il Re Ligure Italo diede il nome All'Italia

36) Italo era padre di Siculo

37) Aborigeni, uguale Indigeni, uguale Liguri primi abitatori Dell'Italia

38) Gli Aborigeni erano gli antich abitatori del Lazio

39) Gli Aborigeni furono i primi in quella regione

40) La Nazione Ligustica diede il sangue a tutti i popoli d'Italia

41) Primavere Sacre, Sacrani, Liguri, Siculi, aborigeni nel luogo ove sorse Roma

42) Gli aborigeni liguri primi nel cavalcare, nella poesia e nel canto


                                       I GRECI E IL NOME DEI LIGURI

Furono per primi i Greci che navigarono lungo le coste del Mediterraneo, (in particolare quelli che poi fondarono Marsiglia) a dare il nome diLiguri alle popolazioni stanziali dimoranti sul territorio circostante, esso deriva dalla parola greca Ligapalude”, quindi "Liguri", e cioè abitanti quei territori paludosi formatisi in seguito alla fine della Glaciazione di Wurm e al disgelo nelle pianure francesi e italiane, oppure, anche, Liy-gour, gente stabilita vicino alle acque, sia di palude che di mare Liguri, nome che non deriva dal nome dall'attuale regione Liguria, territorio, che in seguito prese questo nome dai suoi abitanti, trattavasi, di popolazioni che abitavano tutto il sud dell'Europa, Spagna, Francia, Italia e altre.